Firenze – “L’architettura degli Hospice va in qualche modo inventata. La loro funzione di assistere i malati non curabili è troppo particolare perché si possa pensare di risolvere il problema riciclando vecchie strutture ospedaliere o edifici nati per altri scopi”. Dietro la fioritura di Hospice in corso anche in Italia, in realtà è proprio questo che potrebbe accadere: molti ospedali pubblici e cliniche private potrebbero semplicemente riattare ambienti in disuso, magari ammodernando arredi e aspetto generale, ma lasciandole sostanzialmente com’erano.
Basta dare un nome inglese a vecchie stanze e il miracolo è fatto. In effetti le strutture pensate e progettate per essere hospice sono rare e lo sa bene, o almeno lo sospetta, Franco Toscani, direttore scientifico della Fondazione per la ricerca sulle cure palliative Lino Maestroni, uno degli istituti italiani più accreditati. “L’Hospice”, ha spiegato oggi a Firenze in apertura del congresso internazionale che la Fondazione FILE dedica all’argomento è un concetto nuovo che nasce per scopi del tutto diversi rispetto all’ospedale moderno, esso stesso evoluzione di precedenti strutture sanitarie.
L’ospedale moderno è progettato per diagnosticare e curare le malattie, né è un caso che sia diviso secondo gli organi da risanare (cardiologia, ortopedia, nefrologia, ecc) o le malattie da combattere (oncologia, infettivologia, ecc). Ma se l’obiettivo è sconfiggere la malattia, privacy e comodità passano in secondo piano. Oggi nessuno accetterebbe di dividere una camera d’hotel con uno sconosciuto, mentre in ospedale è normale, perché in questo caso si tratta di contenere i costi di gestione per massimizzare l’investimento su diagnosi e cura.
Ma quando di diagnosi non c’è più bisogno, né si può più intervenire sulla malattia, quando cioè una persona diviene ‘terminale’, il tradizionale impianto ospedaliero non ha più senso. Serve altro”. Serve appunto un edificio pensato per queste specifiche circostanze. L’Hospice. Le cure palliative, sostiene Toscani, stanno dando vita a una vera rivoluzione nel modo di intendere la medicina. Quando guarire non è più possibile, è la qualità della vita che resta a diventare importante.
Così si rovesciano i presupposti. Non occorre più la contiguità di servizi di emergenza, di apparati diagnostici, di unità di rianimazione che possano ‘riparare’ i malati, né sistemi di monitoraggio per intervenire con terapie mirate. E non è quindi più giustificabile subordinare ad essi privacy e qualità di vita, proprio perché l’obiettivo delle cure è diventato il permettere al paziente di vivere l’ultima parte della sua esistenza nel miglior modo possibile e di poter morire senza sofferenza e con dignità.
Lo scopo della medicina è cambiato, e pertanto ciò che va dato agli incurabili è un ambiente dove possano trovarsi il più possibile a proprio agio. Se non la proprio casa, almeno un luogo quanto più simile a una casa. E’ il motivo, dice Toscani, per cui l’Hospice va disegnato e realizzato avendo ben chiare le sue particolarissime funzioni. Non per essere un ‘reparto’ in più, ma uno spazio abitativo che consenta di realizzare le cure palliative e che, anzi, ‘forzi’ i curanti a metterle in atto.
Il paziente deve avere una stanza dove portare le cose alle quali è affezionato, suppellettili, un quadro, libri, la teiera preferita, i segni della propria religione e, perché no?, il cane o il gatto. La parola d’ordine è personalizzare: spazio, cure, trattamento, cucina, relazioni famigliari e sociali. Come a casa propria, appunto. Toscani afferma, in altre parole, che realizzare un Hospice è tutt’altro che una semplice opera di restauro e riadattamento di ambienti. “Al contrario, è un compito interessantissimo, affascinante, estremamente creativo, che porta l’architetto a lavorare in stretto contatto con chi fa cure palliative e con i malati, in modo da progettare a ragion veduta.
Ne’ ci sono solo i muri. In un Hospice sono importanti anche gli arredi, gli oggetti, i materiali, i suoni, le luci, i colori. Senza dimenticare i problemi della sicurezza, o la necessità di confrontarsi con norme costruttive tanto vincolanti quanto, nel caso dell’hospice, in parte obsolete”. Ecco: un vero Hospice dovrebbe avere tutta una serie di caratteristiche ineccepibili secondo delle linee guida nazionali. Peccato che in Italia le linee guida non esistano ancora, col risultato che i 130 Hospice fin qui resi operativi sono costruiti e probabilmente funzionano ognuno come crede meglio.
“C’è da dire”, conclude però Toscani, “che anche in altri Paesi di linee guida specifiche non sembrano essercene, e che in fatto di architettura degli Hospice si trova di tutto”.