di Mario Primicerio e Amos Cecchi
Il deficit di infrastrutture di mobilità urbana di cui soffre il nostro territorio è da attribuire da un lato all’egemonia dell’auto subita, a lungo, culturalmente ancor prima che politicamente, dal complesso del personale politico (in sintonia con una larga opinione pubblica) che è stato al governo di Firenze; dall’altro al vizio del “non fare per non esporsi a critiche” che è così fortemente radicato in questa città.
Il nodo di fondo è qui: ed è duro a sciogliersi, in modo definitivo, nella politica e nell’opinione pubblica: si guardi alla subalternità culturale e politica al mezzo privato che permane e che si manifesta chiaramente ogni volta che si pensa lo spazio urbano come qualcosa dove l’uso e la quantità di auto - pur diffusamente considerati come ambientalmente insostenibili - non possano arretrare davanti alla rotaia.
Oggi, comunque, il dado è stato tratto.
Si è passati al fare funzionale, ambientalmente sostenibile ed economicamente possibile. Siamo, con opere ultimate o in fieri e con i tanti cantieri aperti (e con il loro inevitabile disagio), nel mezzo di una grande trasformazione della città.
Il governo della città, negli ultimi tre mandati politico-amministrativi, ha assunto come progetto strategico da attuare - centrale per il rinnovamento urbanistico di Firenze - la costruzione di un sistema di mobilità collettiva, basato su una rete di tramvie, in grado di collegare i punti urbani fondamentali, e sulla sua interconnessione con una metropolitana ferroviaria di superficie, innervata sulla direttrice Montevarchi-Firenze-Prato-Pistoia (dato che l’interramento urbano dell’alta velocità libera una coppia di binari in superficie per quel nuovo servizio) e integrata con l’asse Firenze-Empoli e con la Faentina.
Il perno è questo: intorno ad esso - alla cura del ferro - ruotano, come pezzi di un grande mosaico da comporre, l’area pedonale del centro storico, la ztl, le zcs, i parcheggi di corrispondenza e i parcheggi scambiatori (anche quelli costruiti per il Giubileo, come strutture che possono acquisire compiutamente funzione nel sistema via via che esso si sviluppa), la nuova viabilità, con gli assi di penetrazione urbana dalle porte autostradali della città, il bus a metano, il mezzo elettrico, la bici.
Ovviamente, è un sistema aperto a modifiche, aggiustamenti, innovazioni che risultino necessari ed anche a integrazioni che risultino realizzabili.
Ma è un sistema che appare equilibrato. Può darci facilità di movimento e riduzione della congestione e dell’inquinamento.
L’interesse generale chiede ad ognuno di noi di anteporlo ai nostri egoismi personali o di settore.
Un’azione importante di innovazione urbana è in movimento. Contro questa è in atto l’ultimo conato del non fare. Esso può prendere la forma dell’iper-tutela ambientale o quella opposta del pensare a progetti faraonici fuori scala per la dimensione di Firenze e per la quantità di risorse necessaria e che comunque avrebbero rinviato di decenni la soluzione del problema.
Con il referendum si presenta una sfida importante, decisiva, per il suo valore sostanziale e simbolico.
Firenze può fare un grande passo avanti e liberarsi una volta per tutte dagli ideologi del non fare.
E darsi un futuro.