Firenze, 16 febbraio 2007 - Arriveranno anche a Firenze le Gothic Lolita, le donne, per la maggiore parte giovani, che vestono gli abiti delle vecchie bambole di porcellana, in stile vittoriano. Secondo quanto annunciano i loro svariati siti, l'incontro, un raduno difficile da quantificare in presenze, si dovrebbe tenere il 25 e il 26 marzo nel capoluogo toscano. Un incontro che avviene ogni anno: l'anno scorso a Milano.
Il fenomeno, che vanta origini giapponesi, sembra essere, di fatto, molto anche in Italia e, sia pur difficile da quantificare, in quando non esistono dati certi in merito, anche a Firenze non è difficile incontrarlo.
Spesso per strada ci si imbatte, scambiandoci sul marciapiede, con una Gothic Lolita. Solo allora colui che le incontra inizia ad osservarne le movenze, gli abiti, i sorrisi stampati sulla faccia di queste ragazze che sono, almeno aspirano ad essere, Alice nel paese delle meraviglie. Merletti, gonnelline a fiori, cappelli, calzettoni lunghi, nella maggior parte dei casi bianchi: sono i loro consueti abiti, con i quali quotidianamente vestono, lavorano, studiano, si relazionano col mondo. Un fenomeno che dal Giappone, a seguito di mode musicali, si è diffuso velocemente a partire dagli anni ottanta sino ai giorni nostri.
L'ideale che sta alla radice dell'evento a ben guardare incarna ragioni nel nome di una giustizia e di un'uguaglianza sociale assente nella società contemporanea. Nonostante questi aspetti, l'elemento principale della moda è lontano da attese ed etiche politicizzate o ideologiche, tanto da materializzarsi in uno stile teatrale come se le ragazze che lo manifestano vivessero in un mondo incantato. Tuttavia, al di là della semplice apparenza, riflettendoci sopra, attorno a questo fenomeno si sta, in Italia come in Giappone, sviluppando una propria pubblicistica che propone testate perlopiù dedite a servizi fotografici che ritraggono esempi di lolita da pubblicizzare.
Prototipi di modelle da emulare. Una moda che, di certo, si relaziona solo alla base dell'apparenza ma che, in sostanza, denota una sorta di malessere giovanile che talvolta si esprime in un modo talvolta in un altro. Malessere frutto di un profondo disagio dell'universo giovanile, presente a Firenze e in Italia e sempre più in espansione. Le Lolita sono, infatti, le bambole del duemila, lontane dalla realtà sociale dalla quale fuggono. Vivono come in un sogno col presupposto di esistere in uno spazio da loro stesse costruito di stampo vittoriano, lontano dagli attuali trascorsi storici.
Insomma, si tratta di un estraniamento per loro dire innocente, un modo come tanti per esorcizzare un dramma collettivo probabilmente dovuto al nostro tempo. Un malessere che emerge là dove tra i giovani sono saltati ogni riferimento o, ancor peggio, punto d'approdo nei confronti di una convivenza storica e civica all'interno del contesto sociale. In altri termini, questo fenomeno che trasforma la realtà di certe ragazze in una sorta di teatralizzazione quotidiana è forse l'ennesimo SOS che i giovani lanciano a destinatari ignoti, un modo per crearsi un futuro finto, sintetico, costellato di falsi miti.
Un'assimetria geografica che erroneamente tende ad unire due emisferi culturali ed etnici in modo sbagliato. Unire non significa emulare, ma comprendere, rispettare. Insomma, uno spazio astratto il quale procede verso una destinazione anonima, di forte impatto emotivo che, come sostiene lo storico Hobsbawm, non dà inizio ad una nuova epoca ma tende a protrarre la passata e la presente cancellando col buio della "notte" la strada al futuro eminente.
Iuri Lombardi