Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi: Rembrandt e Morandi mutevoli danze di segni incisi dal 1 novembre 2006 al 7 gennaio 2007

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
26 ottobre 2006 13:00
Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi: Rembrandt e Morandi mutevoli danze di segni incisi dal 1 novembre 2006 al 7 gennaio 2007

Che Morandi si fosse interessato a Rembrandt proprio agli inizi della propria formazione autodidattica come incisore, è risaputo. Nella sua biblioteca non mancavano pubblicazioni sull’artista olandese, mentre nella collezione figuravano almeno cinque incisioni. Bisognerà guardare Rembrandt con gli occhi di Morandi per carpire il segreto della loro lontanante vicinanza. A prima vista, i contatti sembrano circoscritti alla sua fase giovanile, ma le cose non andarono proprio così. Se non è tanto indicativo il fatto che Morandi possedesse un piccolo nucleo di incisioni dell’artista, riescono più significative le prove del suo affaticarsi sulle pagine della monografia che Münz aveva dedicato alle acqueforti di Rembrandt.

Morandi, quando si risolse a incidere, all’opulenza tecnica e descrittiva di Rembrandt oppose l’estrema rarefazione della “sua” natura, rinunciando a ogni complicata commistione di acquaforte, puntasecca e bulino per puntare quasi esclusivamente, dopo le sperimentazioni tecniche degli anni fra il 1921 e il 1923, sulle acqueforti. Il punto di incontro con Rembrandt, Morandi lo rintraccia sul piano della variabilità del segno, verso l’emulazione delle potenzialità espressive della linea incisa.

Il bolognese non riesce meno prodigioso dal punto di vista tecnico, se le sue libere e mutevoli aggregazioni di tratteggi sanno scomporsi e ricomporsi in un’infinità di modi, più controllati o più informali, più sottili o più marcati. La sua povertà di mezzi e la moderata gamma di soggetti alimentano una sfida alla rovescia. Morandi rinuncia a ogni forma di seduzione “esterna”, si concentra sul segno inciso e lo sottopone a costante metamorfosi, alla fine riuscendo non meno abile, virtuoso e di effetto del maestro olandese.

Nato a Bologna, avrebbe potuto ereditare l’humus locale scegliendo il mezzo più descrittivo e rassicurante del bulino: chi non sa infatti che a Bologna fu Marcantonio per primo a portare questa tecnica a risultati di eccezionale competizione emulativa della natura, con il concorso della lezione di Dürer? Ma Morandi decide piutosto di percorrere un’altra strada, che di nuovo incrocia Bologna: qui l’acquaforte venne esercitata da Parmigianino e poi da alcuni tra i più intelligenti e sensibili artisti bolognesi, da Annibale Carracci a Guido Reni, che seppe tradurre i toni argentei della Pala della Peste, prediletti da Morandi, nella luminosità rarefatta delle proprie acqueforti.

Tuttavia Morandi non avrebbe potuto sostenere con esiti costantemente elevati l’estrema castigatezza formale delle sue immagini se non avesse incontrato la ricchezza vitalistica e trionfante delle linee incise e la mutevole scenografia delle luci e delle ombre di Rembrandt. L’unica volta che si ispirerà a Rembrandt anche dal punto di vista iconografico, con la sua Conchiglia del 1921, Morandi lo farà emulando la sola natura morta dovuta all’olandese, quel conus marmoreus del 1650 che per la sapiente “ricreazione” dell’artista pare cambiare pelle e dal mondo dei naturalia trasmigrare in quello degli artificialia.

Per Morandi non si trattava, comunque, di competere con la natura: bastavano i diaframmi artistici del segno mutante, così come le figure geometriche di Galileo, a fargli oltrepassare le colonne d’Ercole del reale, mentre lo sguardo continuava a rimanere fisso sugli oggetti intorno all’uomo.

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