Firenze, 1° marzo 2006- La primavera si avvicina, ma su gerani, primule, ‘impatiens’ e petunie destinate a ravvivare terrazze e giardini si addensano le nubi della crisi del settore floro-vivaistico fiorentino.
“Gasolio, semi, vasetti di plastica, tutto è aumentato, ma i prezzi dei nostri prodotti restano fermi. Siamo schiacciati dal mercato e andare avanti è sempre più difficile”. Stefano Susini, socio della Cooperativa Agricola di Legnaia e storico produttore di Mantignano, alla periferia di Firenze, denuncia il momento di forte crisi che sta attraversando il floro-vivaismo.
“Il colpo più duro – spiega – è arrivato con l’aumento del gasolio per uso agricolo, che è passato da 34 a 45-48 centesimi di euro il litro, con rincari superiori al 30 per cento. Il freddo non allenta la sua morsa e siamo costretti a riscaldare le serre per non far morire le piantine”.
A questo si aggiunge un mercato schiacciato verso il basso, con prezzi che sono rimasti fermi rispetto allo scorso anno. “E’ un effetto legato in parte alla crisi economica – spiega Simone Tofani, responsabile del Settore tecnico della Cooperativa Agricola di Legnaia e di Legnaia Vivai –, che ha limitato le spese delle famiglie per quei prodotti che non sono di prima necessità, e molto alla frammentazione del mercato, dove i piccoli coltivatori sono costretti a fare i conti con grandi aziende di altre regioni.
I costi di produzione continuano a crescere, mentre i prezzi sono fermi, se non in calo, e molti sopravvivono solo grazie ai vantaggi della conduzione familiare. Una crisi che non colpisce solo i floricoltori, ma anche i vivaisti che producono piantine orticole, come pomodori, cetrioli, peperoni, zucche o melanzane. I problemi sono gli stessi. Anche la Cooperativa di Legnaia ha mantenuto stabili i listini di vendita, sia per il pubblico che per i professionisti agricoli, per poter mantenere un’adeguata commercializzazione dei prodotti”.
Rincari del gasolio, ma non solo, come spiega Mauro Brogioni, floro-vivaista di Colle Val d’Elsa: “I costi energetici per riscaldare le serre – spiega – sono sempre più pesanti, ma ci troviamo ad affrontare rincari anche per i semi e per i vasetti o le vaschette di plastica per le piantine. Nonostante questo, siamo costretti a tenere i prezzi al limite, per non finire fuori dal mercato. Il settore è in crisi e i primi a pagare sono i piccoli produttori”.
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Si è concluso senza nessuna novità l’incontro che si è tenuto a Siena tra la Astolatte (associazione di trasformatori privati) e le organizzazioni agricole circa un accordo sui prezzi del latte.
Durante la trattativa Astolatte ha proposto come prezzo quello precedentemente praticato (le vecchie 1400 Lire).
«E’ inaccettabile l’idea– ha affermato Alessandro Del Carlo della presidenza Cia Toscana - secondo la quale si vogliono i benefici delle azioni previste dall’accordo di filiera senza farsi carico degli impegni che tale accordo prevede, primo fra tutti il pagamento di un prezzo concordato del latte».
La Cia Toscana nell’occasione ha sottolineato con forza la necessità di fare passi in avanti sul fronte delle relazioni sindacali.
«La gravità della crisi che investe il settore – ha continuato Del Carlo - impone una strategia generale che rafforzi tutta la filiera, in grado di tutelare e valorizzare il prodotto trasformato con latte toscano».
A questo proposito la Cia ha rimarcato l’importanza di destinare esclusivamente nella nuova programmazione sullo sviluppo rurale le risorse destinate al potenziamento delle filiere che sono impegnate con la produzione di latte toscano e che rispettano le condizioni di prezzo agli allevatori.
La Cia ha infine sottolineato l’esigenza di procedere speditamente nell’attuazione delle azioni previste dall’accordo di filiera, pagamento del latte sulla qualità, promozione e sviluppo dei marchi, tracciabilità ecc., rifiutando le tattiche del rinvio o di ostruzionismo attuato da Astolatte in questi mesi.
«Il settore ha bisogno di azioni di sostegno – ha sostenuto Enrico Rabazzi, vice presidente della Cia Grosseto – e gli allevatori hanno bisogno di segnali chiari d’incoraggiamento per programmare e proseguire l’impegno nella produzione».
Secondo i dati Istat del 2005 in Toscana sono presenti 4.635 aziende con allevamenti ovini per un totale di 554.679 capi.
Di queste la maggiore concentrazione è situata nella provincia di Grosseto (il 40,8% del totale) seguita da quelle di Arezzo e Siena. Negli ultimi dieci anni il calo registrato è notevole attestandosi al 38,7% per quanto riguarda il numero delle aziende e al 22,7% per quanto riguarda i capi ovini allevati.