Il definitivo incontro di Pirandello con il teatro avviene sotto il segno della Sicilia, quasi come un ritorno dello scrittore alle fonti popolari più schiette della sua ispirazione. Si lascia convincere, dopo molte insistenze (documentate nel suo epistolario) da Nino Martoglio a ricavare dalla novella "Pensaci Giacomino" una commedia in 3 atti che la compagnia dell'attore siciliano Angelo Musco mette in scena il 10 luglio 1916 al Teatro Manzoni di Roma, ottenendo un grande successo, come 4 mesi dopo con la commedia "Liolà" e a distanza di un anno con "'A birritta cu' i cinacianeddi" e "La giara".
C'è in scena il mondo provinciale con venature dialettali, e i fondamentali temi pirandelliani sono appena sfiorati, come la frattura della concezione naturalistica del personaggio (per dire in "Così è se vi pare" e in "uno nessuno e centomila"). Dunque l'impronta naturalistica coesiste alla dialettica dei contrarii, al sofisma e ai paradossi delle distinzioni dialettiche, tipici però di un'espressionistica ambientazione nella cultura siciliana.
La rinnovata popolarità di questi testi, come di quelli della prima vocazione teatrale di Pirandello ("L'epilogo", "La morsa", "La ragione degli altri" tutti ottocenteschi), in contrapposizione con le opere maggiori, si spiega forse con la loro ambiguità, cioè con gli ampi margini interpretativi che consentono.
Quasi che questa ricerca di un Pirandello diverso finisca poi, come si poteva prevedere, per consentire a registi e interpreti di incontrare in scena soltanto se stessi.