Quasi sette toscani su dieci (69%) ritengono che i cinghiali siano troppo numerosi mentre c’è addirittura un 58% che li considera una vera e propria minaccia per la popolazione, oltre che un serio problema per le coltivazioni e per l’equilibrio ambientale come pensa il 75% degli intervistati. E’ quanto emerge dall’indagine Coldiretti/Ixe’ in riferimento al rapporto Ispra sulla proliferazione dei cinghiali in Italia con la Toscana terza regione per danni subiti dall’agricoltura dal 2015 al 2021 con un importo di poco superiore ai 10 milioni di euro second il rapporto Ispra.
Il risultato – sottolinea Coldiretti Toscana - è che oltre sei italiani su 10 (62%) ne hanno una reale paura e quasi la metà (48%) non prenderebbe addirittura casa in una zona infestata dai cinghiali. I branchi – sottolinea Coldiretti Toscana – si spingono sempre più vicini ad abitazioni e scuole, fino ai parchi, distruggono i raccolti, aggrediscono gli animali, assediano stalle, causano incidenti stradali con morti e feriti e razzolano tra i rifiuti con evidenti rischi per la salute.
Secondo Coldiretti Toscana sono oltre 300 mila i cinghiali che scorrazzano indisturbati tra boschi e centri urbani in regione che mettono a rischio anche la sicurezza stradale: 27 i sinistri, il più alto numero in Italia. La situazione è diventata insostenibile in città e nelle campagne con danni economici incalcolabili alle produzioni agricole ma – continua Coldiretti Toscana – viene compromesso anche l’equilibrio ambientale di vasti ecosistemi territoriali in aree di pregio naturalistico con la perdita di biodiversità sia animale che vegetale senza dimenticare i rischi per gli allevamenti e il Made in Italy a tavola.
“La maggioranza degli toscani considera l’eccessiva presenza degli animali selvatici una vera e propria emergenza nazionale che incide sulla sicurezza delle persone oltre che sull’economia e sul lavoro, specie nelle zone più svantaggiate – spiega Fabrizio Filippi, Presidente Coldiretti Toscana – Servono interventi mirati e su larga scala per ridurre la minaccia dei cinghiali”. In Toscana, su sollecitazione di Coldiretti, è stata modificata la legge 310/2016, per consentire agli agricoltori-cacciatori di intervenire direttamente contro gli ungulati, dopo averne segnalato la presenza nei propri fondi. “Finalmente anche a livello nazionale – conclude il Presidente di Coldiretti Toscana – si affronta l’emergenza”.
I dati diffusi ieri dall’Ispra sulla popolazione dei cinghiali in Italia e sulla strage che se n’è fatta attestano quel che diciamo da sempre: «Più ne abbatti, più si moltiplicano». Così l’Organizzazione internazionale protezione animali.
Approfondimenti
Un parere degli esperti dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) in tema di peste suina africana afferma che“la caccia non è uno strumento efficace per ridurre le dimensioni della popolazione di cinghiali selvatici in Europa”.
«Negli ultimi anni si è ragionato solo su come sguinzagliare i cosiddetti “selezionatori” fuori e dentro i parchi anche protetti e, da ultimo, persino nelle zone urbane. La caccia e la “selezione” non sono la soluzione al problema della proliferazione dei cinghiali, ma la causa», dichiara il presidente dell’Oipa, Massimo Comparotto. «Non lo diciamo solo noi: lo attestano etologi, zoologi, naturalisti. «Il problema della presenza dei cinghiali in città è dovuta a una scorretta raccolta dei rifiuti: dov’è attuata la raccolta porta a porta i cinghiali non si presentano negli abitati.
Inoltre, ancor più a monte, vi è la politica dei “ripopolamenti” degli anni passati: i cinghiali che popolano oggi l’Italia, più grandi e prolifici degli autoctoni, sono stati introdotti dai paesi dell’Est Europa a uso e consumo dei cacciatori, cui ora si ricorre per risolvere un problema che loro stessi hanno determinato».
Per arginare il fenomeno la politica dovrebbe adottare azioni di prevenzione come la pulizia del territorio, la corretta raccolta dei rifiuti, l’uso di dissuasori, fino alla sterilizzazione farmacologica, oggi allo studio del Ministero della Salute. Purtroppo anche le categorie che dovrebbero adottare misure dissuasive preferiscono poi lamentarsi e chiedere rimborsi pubblici.