Firenze – “Secondo lei, le informazioni in possesso di David Rossi, avrebbero potuto compromettere politici nazionali, regionali, locali?”, ha chiesto Giacomo Giannarelli, presidente della commissione d’inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena. “Nazionali, regionali, locali e sovranazionali”, ha risposto l’avvocato Luca Goracci, al termine dell’audizione di giovedì mattina, tutta dedicata alla riapertura delle indagini sulla morte del responsabile della comunicazione dell’istituto di credito, avvenuta il 6 marzo 2013 dopo essere caduto dalla finestra del suo ufficio a Rocca Salimbeni. A spingere la Procura di Siena verso nuove indagini sono tre perizie (grafologica, medico legale, sulla dinamica della caduta) presentate dal legale di Antonella Tognazzi, vedova di Rossi. L’avvocato Luca Goracci ha sottolineato che la perizia grafologica sui tre biglietti indirizzati alla moglie e trovati nel cestino dell’ufficio ha mostrato che la scrittura ha le caratteristiche tipiche di una grafia prodotta sotto costrizione, fisica o psichica.
Dalla perizia medica sono emerse varie ecchimosi sulle braccia, in particolare sul destro, un “chiaro segno di afferramento”, altri segni all’altezza dell’addome, delle dimensioni di un pugno chiuso, e varie lesioni che non possono essere state causate dall’impatto con il suolo. Il video della telecamera di sorveglianza, inoltre, mostra un corpo che cade a candela, perpendicolarmente, quasi fosse stato lasciato cadere. C’è poi la registrazione di un oggetto che cade in un momento successivo, compatibile con l’orologio di Rossi. L’avvocato ha inoltre rilevato che il video risulta manomesso, con sfasamento di orario, minuti mancanti e sequenze più volte frazionate.
Questi i dati di fatto. Sul resto solo ipotesi, coincidenze sospette, tutte al vaglio degli inquirenti.
Da poco è uscita una nuova sentenza definitiva (Corte di Cassazione n. 2900/2016 pubblicata il 15 Febbraio 2016) che dichiara – ancora una volta - il “piano finanziario” del Monte dei Paschi di Siena denominato 4 You “non meritevole di tutela giuridica”. Si tratta della massima sanzione giuridica che si possa comminare ad un contratto. Un prodotto che finì' (ed in larga parte è tutt'ora) nei portafogli di oltre 180 mila persone. L'Associazione Diritti Utenti e Consumatori fu la sola associazione di consumatori ad aver compreso chiaramente che non era un problema di “come questo prodotto era stato venduto” ma di come il prodotto era stato progettato. Il prodotto, infatti, era un contratto atipico formato da una combinazione di altri strumenti finanziari (un finanziamento, un'obbligazione della banca stessa e dei fondi, sempre della banca).
Ciascun prodotto era pienamente legittimo preso singolarmente, ma la combinazione di questi prodotti creava un effetto sempre e solo dannoso per il cliente: in tutte le situazioni di mercato, il cliente non poteva che rimetterci dei soldi rispetto ad una semplice soluzione alternativa come un piano di accumulo di capitali. Questo era il nodo della questione. La libera contrattazione tra le parti trova un limite, specialmente se parliamo nell'ambito dell'intermediazione finanziaria, nella sensatezza economica della proposta.
L'intermediario finanziario non può progettare un prodotto che, a ben vedere, è sempre e solo un vantaggio per lui e sempre e solo uno svantaggio per chi lo sottoscrive. La Consob, all'epoca, davanti ad un contratto chiaramente, palesemente, illegittimo, non spese una parola, né fece una sana “moral suasion” affinché la banca risolvesse il problema per tutti i sottoscrittori e non solo per i casi di errato collocamento del prodotto.