PRATO - Non necessariamente è soltanto la scienza medica a ispirare e guidare la nascita e la conduzione degli istituti ospedalieri. Nell’antichità, quando l’unica scienza medica era quella riconducibile a Galeno, anche la religione rivestiva un’importanza strategica nella cura del corpo.
Lo si evince dalla mostra Il corpo e l’anima. I luoghi e le opere della cura ospedaliera in Toscana dal XIV al XIX secolo, a cura di Esther Diana e Francesca Vannozzi, che attraverso la selezione di circa cinquanta opere, ricostruisce la storia di sette antichi ospedali toscani, ovvero il Misericordia e Dolce di Prato, Santa Maria Nuova, San Giovanni di Dio e degli Innocenti, di Firenze, il Santa Maria della Scala di Siena, il Santa Chiara di Pisa e il Ceppo di Pistoia. Una mostra a carattere non principalmente artistico, bensì storico e documentario, per riscoprire i patrimoni culturali delle strutture sanitarie toscane, troppo spesso non accessibili al pubblico, e che costituiscono invece un’importante fonte di documentazione per comprendere come il concetto di “ospedale” sia mutato nei secoli, e quale fosse il principio che li ispirava.
Nati intorno al X Secolo, sulle ceneri lasciate dai Secoli Bui che avevano devastata l’Europa, i primi ospedali erano ispirati da principi di carità cristiana, luoghi dedicati alla salute dell’anima, attraverso la quale si recuperava anche la salute del corpo. La religiosità popolare dell’epoca, infatti, considerava molto spesso la malattia una sorta di punizione divina per i peccati commessi, guaribile innanzitutto con la fede. E alla fede nella Vergine e nei Santi, ci si affidava perché intercedessero in caso di pestilenze o carestie.
Non stupisce, quindi, la presenza in mostra di numerose opere a carattere religioso, come la Madonna in trono con Bambino, attribuita a Giotto di Maestro Stefano, il Crocifisso ligneo di Francesco da Sangallo, la Madonna con Figlio tra i Santi Barnaba e Silvestro di Lodovico Buti, e il Buon Samaritano di Nicola Malinconico (queste ultime provenienti dalla collezione permanente di Palazzo Pretorio), e che spiegano efficacemente la sensibilità religiosa che stava alla base dell’istituto ospedaliero.
Il Buon Samaritano, è simbolo dell’accoglienza caritatevole nei confronti dei poveri e degli ammalati, oltre che dei viandanti, e non dimentichiamo, a questo proposito, che molti ospedali, fra cui quello pratese, fungevano anche da ricoveri per i pellegrini. Le immagine mariane con il Bambino, rimandano invece al ruolo che gli ospedali avevano (e tutt’ora mantengono, come quello degli Innocente a Firenze), di dare ricovero ai bambini abbandonati, compiendo così una sorta di caritatevole uffizio materno, in sostituzione della madre in difficoltà.
Storie commoventi si celano dietro l’abbandono degli infanti, ed è emotivamente toccante vedere in mostra l’abitino che indossava Rosa Veronici quando, nel 1830, fu ritrovata nella Ruota dell’ospedale di Prato, la sera del 22 settembre, e qui allevata e protetta fino al 1854, quando si sposò a Borgo a Buggiano.
L’ospedale ha quindi svolto un indiscutibile ruolo di carità, almeno fino all’inizio del Novecento, quando l’affermarsi della scienza medica, sulle ali del positivismo, cancellò del tutto o quasi, quell’idea di missione spirituale che sottintende alla delicata professione medica. Un’idea che ai nostri giorni, con la sanità divenuta terreno d’incontro fra politica e interessi privati, spesso viene meno, a detrimento della dignità e della tutela di coloro che, loro malgrado, affrontano i difficili momenti della malattia. Per questo motivo sarebbe auspicabile che le istituzioni politiche (Regione e Comune) che hanno entusiasticamente promossa la mostra, applicassero rigorose metodologie nel garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute, intervenendo in quelle situazioni di disagio che purtroppo non mancano nemmeno nel nostro territorio.
Particolarmente interessante, la fedele ricostruzione dell’antica spezieria dell’ospedale di Prato, impreziosita da numerosi vasi in porcellana della manifattura Ginori, risalenti al 1750 circa, ovvero al periodo iniziale dell’attività manifatturiera, quando il Marchese Ginori ricorse alla consulenza di un esperto decoratore francese, per apprendere alla perfezione l’arte della porcellana e introdurla in Toscana. Vasi la cui etichetta, dove ancora presenta, riporta nomi di erbe e sostanze vegetali varie, a testimonianza di come la farmacopea antica guardasse all’universo della natura per ristabilire la perduta armonia fisica del corpo.
Non una mostra di storia dell’arte, bensì un’esposizione di oggetti appartenenti alla storia sanitaria toscana, e per questo motivo accanto a capolavori artistici indubbi, sono accostati opere pittoriche di minor pregio, spiegabile dal fatto che l’artista, all’interno del corpus ospedaliero, era soltanto una maestranza al apri delle altre; l’estetica scivolava in secondo piano, rispetto alle necessità del corpo e dell’anima.
La mostra rappresenta inoltre una tappa di quel percorso di riscoperta e valorizzazione dei patrimoni artistici delle aziende sanitarie toscane, iniziato circa quindici anni fa, con lo scopo di creare percorsi ad hoc studiati per diffondere la conoscenza di questo particolare settore culturale, ovvero la storia della sanità, che ancora oggi non manca di affascinare, per quel suo intendere la cura del corpo inscindibile dalla cura dell'anima.