ROMA - L’Italia savoiarda, fresca di unità politica, faticava tuttavia a trovare quella coesione sociale e identitaria che dà forza a uno Stato moderno, e l’arte è stata probabilmente il primo campo dove si sia sviluppato un dialogo coerente dalle Alpi all’Etna, che a sua volta ha dato vita a un percorso comune di sviluppo della tradizione accademica in senso moderno, rinnovando la pittura e aprendo la strada alle avanguardie del Novecento.
Un percorso che si può apprezzare, nella sua complessità, attraverso la mostra Artisti dell’Ottocento: Temi e Riscoperte, a cura di Cinzia Virno, che laGalleria d’Arte Moderna di Roma Capitale dedica a un periodo storico cruciale per il consolidamento dell’Italia unita. Un’Italia che avverte l’esigenza di raccontarsi, che la mostra romana sviscera nelle sue sei sezioni, le prime tre delle quali illustrano il percorso artistico a Roma, nel Nord e nel Sud della Penisola, mentre le restanti approfondiscono l’evoluzione artistica privilegiando il punto di vista tematico del ritratto, dello sguardo all’antico, e della vita quotidiana.
La prima rottura con l’arte accademica legata ai soggetti storici, è costituita dallo scapigliato movimento della Macchia; i pittori macchiaioli, quasi tutti di umili origini, gente del popolo abituata al pragmatismo, trasposero sulla tela il sentire politico e sociale a loro contemporaneo, dipingendo la realtà del paesaggio agreste e la fatica del lavoro dei campi, capirono come anche l’arte avesse la necessità di rinnovarsi per raccontare il nuovo che stava arrivando, e iniziarono i loro studi sulla macchia quasi in contemporanea con l’omologa esperienza impressionista francese, della prima molto più celebrata.
Firenze non fu, ovviamente, il solo centro artistico di rilievo in Italia; anche Roma, da poco elevata al rango di Capitale, fu il teatro di un vivace fermento artistico, in particolare grazie alla figura di Giovanni (Nino) Costa, artista a stretto contatto con i Macchiaioli, non soltanto per motivi artistici ma anche ideologico-patriottici: infatti, nel 1848, arruolatosi nella IV Compagnia delle Legioni Romane comandata dal Generale Ferrari, combatte gli austriaci a Vicenza, e nel 1849 partecipa alla sfortunata resistenza contro i francesi a Roma. Artisticamente parlando, nel suo soggiorno fiorentino del ’59, diffuse fra i Macchiaioli le nuove idee naturalistiche, sulla base delle quali la pittura di paesaggio uscirà profondamente trasformata: la natura non è più soltanto un fattore estetico gradevole alla vista, bensì la radice dell’ispirazione stessa, con quel suo essere “l’incubatrice del vero”.
“Per Nino Costa l’arte è un principio”. Così scrisse il critico toscano Diego Martelli, a proposito del pittore romano, grazie al quale a Roma, nella seconda metà dell’Ottocento, la pittura di paesaggio subirà una totale, coraggiosa innovazione; a essa si vedrà infatti abbinare la figura, intesa come elemento “poetico” e in perfetta armonia con la natura.
Fondamentale, per comprendere l’evoluzione artistica di Costa, la tela La Ninfa del bosco, dalla tormentata realizzazione; iniziata infatti nel 1863, fu portata a compimento soltanto venti anni dopo, e per questo motivo si notano le tracce di differenti periodi artistici; a un corpo femminile di gusto renoiriano, si accompagna un paesaggio che nella parte inferiore richiama i Preraffaelliti, mentre il volto della donna anticipa l’impeto della Secessione Viennese di Klimt; un’atmosfera che più tardi confluirà nella corrente Simbolista.
L’influenza che Costa esercitò a Roma, produsse i più notevoli effetti nel romagnolo Norberto Pazzini, splendido cantore della “Roma sparita”: Antichi Bagni a Ripetta (1885) ne è forse l’esempio più fulgido; una tela la cui componente emotiva, mutuata dalla lezione di Costa, la si ritrova nelle tinte fredde che evidenziano un esplicito richiamo alle atmosfere pre-simboliste. Protagonista di questo dipinto, il suggestivo Lungotevere attiguo a Campo Marzio, prima della costruzione degli argini.
Anche i pittori stranieri dettero il loro contributo alla scena artistica italiana, e fra questi il francese GeorgesPaul Leroux, del quale si può ammirare, per la prima volta a Roma, la tela Passeggiata al Pincio, restaurata in occasione della mostra. A colpire l’osservatore, è il punto di vista della veduta: non il grande Piazzale del Pincio, ma il lato minore dell’Accademia di Francia - della quale Leroux era allievo in quegli anni. Si tratta di un quadro “narrativo”, con la folla in movimento che osserva e si lascia osservare. E in questo senso il paesaggio romano assume una doppia valenza: da una parte ha il ruolo di sfondo di una scena, dall’altra diviene oggetto dell’osservazione.
Ma la tela di Leroux suggerisce importanti considerazioni sociali, attraverso le figure ritratte dall’artista: si tratta di una folla elegante e mondana, espressione della nuova Roma borghese (sviluppatasi dopo il definitivo trasferimento della Capitale), che si sta prepotentemente sostituendo agli ultimi scampoli dell’Urbe nobile e cardinalizia dell’età papalina; la passeggiata del Pincio, con i suoi ampi viali e gli ingressi monumentali razionalmente distribuiti, costituisce la vetrina ideale per questo nuovo ceto sociale, ansioso di affermarsi, e del quale D’Annunzio sarà a breve puntuale e appena ironico cantore. E osservando la tela, sovvengono le atmosfere diafane de Il piacere.
Non soltanto nell’Urbe, ma anche nel resto della Penisola, si andava affermando una pittura naturalista ispirata alla Macchia toscana, e anche ai piedi delle Alpi si sviluppò un movimento naturalista di tutto rispetto, ad esempio in Veneto, con i veneziani Guglielmo e Beppe Ciardi.
Del primo, il principale vedutista veneto dell’Ottocento, è Il Canale della Giudecca (1892), un soggetto particolarmente amato dal pittore, e dipinto con una pennellata ampia e spezzata che rivela la conoscenza della pittura macchiaiola, però aggiornata all’evoluzione in senso impressionista di De Nit
Sensibilmente più ligia alla macchia, la figlia Emma, con La Rotonda (1914), scena campestre della nobiltà veneta sul prato attiguo a una villa palladiana, la cui sontuosa architettura è ben riconoscibile, mentre le figure umane sono appena abbozzate, e spiccano per contrasto cromatico, come appunto si propongono i Macchiaioli.
Più conservatrice la pittura dell’Italia Meridionale, poco interessata agli sviluppi in senso simbolista, e ben più attenta al naturalismo. Fra gli innovatori della pittura accademica dell’Italia Meridionale, i fratelli abruzzesi Giuseppe, Filippo e Nicola Palizzi, allievi a Napoli dell’Accademia di Belle Arti. Dei tre, maggior fortuna ebbe Filippo, sostenitore di una pittura con soggetti animali in stretto rapporto con l’ambiente naturale. Lo Studio di animali è appunto un’opera dal diligente realismo alla fiamminga, dove un gregge di capre si abbevera a un torrente. Il manto degli ovini è reso “in punta di pennello”, così come i riflessi delle loro zampe nell’acqua.
Il paesaggio meridionale trova ampio spazio sulle tele di Vincenzo Caprile e Pio Joris. Del primo, è la veduta Case di Pescatori a Positano, (1890 ca), dove per la freschezza dell’immagine, sembra di leggere le pagine di Francesco de Bourcard, Usi e costumi di Napoli e contorni (1843), con il paesaggio costiero su cui spicca un gruppo di case bianche di pescatori, a picco sul mare e coperto di macchia mediterranea. Il soggetto è stato certamente ripreso da una barca.
Pio Joris, con Terrazza a Sorrento (1866), fa sua la lezione della macchia, dove i toni scuri della vegetazione della costiera contrastano con il bianco della balaustra di marmo, sulla quale spicca un panno azzurro, e un vaso di terracotta con una pianta, forse d’agrumi. Sorprende come, nonostante ci si trovi su una terrazza prospiciente il mare, l’azzurro elemento non compaia nel dipinto.
Ma nell’Italia borghese di fine Ottocento, nonostante l’invenzione della fotografia, il ritratto come forma d’arte pittorica non perde la sua importanza, inteso quale mezzo autorevole per rappresentare lo status sociale del protagonista. Considerazione tanto più valida nel caso di un soggetto femminile.
Nel suo Ritratto di signora (1920-26), Giuseppe Micali si rifà all’ormai “classica” lezione di De Nittis, mentre il torinese Giuseppe Cominetti in Ritratto di ragazza in bianco dimostra nel 1907 di seguire con attenzione l’esperienza divisionista di Segantini.
Spostandoci su un altro piano, si osserva come l’Italia sia terra dall’antichissima tradizione storica, e come le vestigia dell’Impero Romano non abbiano mai cessato di affascinare gli artisti. Così, nell’Ottocento, ebbe particolare fortuna il cosiddetto “filone neopompeiano”, avviato dal pittore olandese, naturalizzato inglese, Sir Lawrence Alma Tadema, che influenzò fortemente i pittori italiani durante i suoi soggiorni a Pompei, e in particolare il napoletano Domenico Morelli, con il quale intratteneva un fitto rapporto epistolare: il suo dipinto Oro di Napoli o Oro di Pompei costituisce in tal senso un calzante esempio, di grande raffinatezza. Il volto pieno e roseo della ragazza, è espressione della “verace” bellezza mediterranea, mentre il gioco dei chiaroscuri ricorda la tradizione barocca napoletana, così come la ragazza stessa, che si potrebbe scambiare per una Santa in estasi mistica.
In chiusura di mostra, una selezione di tele dedicate alle scene di vita popolare, la vita di quell’ingenua Italia umbertina, un’Italia ancora in costruzione, alla ricerca di un’identità moderna, ma ancora legata alla millenaria cultura e tradizione contadina, profondamente differente da regione a regione, ma ovunque legata ai ritmi della natura e ai rituali paesani. Ce ne dà un’idea precisa, con sguardo affettuoso, Leopoldo Mariotti, il cui Giorno di mercato avvicina spiritualmente uomini e animali, che il pittore pone simbolicamente sullo stesso piano prospettico.
Completano la mostra una scelta di sculture che dal classico Bello naturale ispirato da Bartolini, giungono fino all’Avanguardia di Marino Marini.
Una mostra interessante, che oltre alla bellezza artistica delle opere, offre materia di ragionamento sulle differenti sensibilità alle evoluzioni stilistiche, delle varie latitudini italiane, dove a un Centro-Nord più ricettivo, si “contrappone” un Meridione maggiormente legato alla tradizione.