Scritto in Toscana, a Castiglioncello, nell'estate del 1934, a pochi mesi dal Nobel per la letteratura, dopo la prima a Praga in tedesco, debutta tra i fischi il 13 dicembre del 1935 a Roma facendo esclamare a Pirandello: “Mi fischiano! Allora sono ancora giovane.” Non si sa come è il suo ultimo testo compiuto, morirà l’anno dopo. Ideato in piena dittatura fascista, e in un periodo di aspri conflitti dell’autore col regime a causa delle difficoltà incontrate dal suo progetto di un Teatro di Stato, Non si sa come si apre in un “luogo incantevole” come recita la didascalia d’apertura del primo atto, nella casa di campagna in Umbria di Giorgio Vanzi, un giorno di settembre: una dimora dove i protagonisti, che appartengono a una borghesia agiata e ignara dei cambiamenti politici e storici in atto, conducono una vita disinvolta tra mobili da giardino e pettegolezzi: pare infatti che Romeo Daddi sia improvvisamente impazzito, di gelosia pare... La trama di questo testo deriva dalla fusione di tre novelle (Nel gorgo, La realtà del sogno e Cinci).
Al centro del dramma vi è il rovello di Romeo Daddi, che, dopo aver ceduto un momento alla passione per Ginevra, moglie dell'amico Giorgio, si rende conto di quanto sia facile commettere un atto che forse può rivelarsi una colpa, senza averne responsabilità, perché il fatto è accaduto ‘non si sa come’, fuori della coscienza di chi lo ha compiuto. Ci sono dunque delitti innocenti, atti irriflessi che marchiano a fuoco le vite umane. A tormentare Romeo sono tutti quegli atti che, ‘non si sa come’, ci portano a fare quello che facciamo.
Preso dall'irrefrenabile desiderio di scoprire negli altri questi delitti Romeo dà inizio a una specie di seduta freudiana di gruppo: il tormento del protagonista si allarga agli altri personaggi e tutti, in una folle corsa autodistruttiva, si confessano sogni e pulsioni del cuore, in un sanguinoso mattatoio metafisico dove i corpi e le coscienze sono fatti oggetto di una violentissima vivisezione, che ricorda da vicino quella, tutta contemporanea, di Thomas Bernhard. Da questa situazione di partenza Pirandello svolge uno dei suoi drammi più feroci, immergendosi, armato di una scrittura - bisturi che analizza i misteri dell'anima e del pensiero, nei labirinti segreti del cuore e della psiche umani, nell'ennesimo tentativo, più che mai riuscito, di dimostrare che «ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, una debolissima parte, di ciò che siamo» (Giovanni Macchia). Tornando a Pirandello dopo aver messo in scena nel 2007 I Giganti della montagna, Federico Tiezzi conferma il suo interesse per la fase estrema del drammaturgo siciliano: Non si sa come, che è del 1934, contende ai Giganti il titolo di ultimo dramma composto dallo scrittore.
Lo spettacolo succede all’allestimento di Un amore di Swann, dal romanzo di Marcel Proust, e costituisce un ideale “secondo tempo” di una riflessione scenica sull’ebbrezza e la tortura dell’amore: un amore inteso non solo come manifestazione emotiva, ma come lo spazio di una violenta verifica della “tenuta” della condizione umana nel momento della sua più alta e significativa tensione storica ed esistenziale. “Sono affascinato dai testi “incompiuti”, come I Giganti della montagna.
O questo Non si sa come, non perfetto nella struttura, imbastardito da una fine non sua e aggiunta all’ultimo momento, rimaneggiato e sbilanciato – spiega Federico Tiezzi - In Non si sa come sono affascinato dal problema teatrale di un testo che non ha azione, e nel quale i personaggi affermano la propria esistenza esclusivamente attraverso il linguaggio. Sono ammaliato da un linguaggio dal quale va tolto un velo, che va aperto, come un’ostrica, che va rivelato attraverso il bisturi psicanalitico, che porta in luce le strutture che danno vita a quel linguaggio: infine la società borghese di quegli anni con i suoi non-valori o valori fratturati, sbriciolati, come la famiglia e in definitiva il rapporto uomo-donna.
Mi interessava analizzare una società borghese che vive in un luogo avulso dalla storia, come è questa villa di campagna vicina a Perugia, tra Todi e Gubbio insomma, buen retiro di una borghesia ontologicamente immobile (che abita tutto l’anno nella capitale tra i marmi di Wildt?) composta da persone che si sottraggono alla storia e che di lì a poco indosseranno come un vestito la maschera eroica del fascismo. Si assiste a un jeu de massacre geometrico che avviene esclusivamente attraverso il linguaggio: è la situazione psicologica del “volevo dire” e dei “hai capito male” e dei “no, hai detto”.
È quella sociale del non dire fino in fondo, del nascondersi, del filosofare. È molto interessante quello speciale accanimento nell’uso della ragione che fa il protagonista. Trascinando in questo gorgo da seduta analitica di gruppo, come si vede nel secondo e terzo atto, tutti gli altri personaggi.” Info: www.teatrodellapergola.com Orario spettacoli: dal martedì al sabato: ore 20.45, domenica: ore 15.45. Lunedì riposo. Prezzi biglietti interi: Platea: € 30, Posto Palco: € 22, Galleria: € 15