FIRENZE - Quest’anno, la Biennale dialoga con la città, ne invade gli spazi e propone numerosi eventi a ingresso gratuito. Un bel segnale per una città che ha bisogno di rivitalizzare la scena contemporanea, anche uscendo dal tradizionale circuito degli esegeti. Lo scopo è anche quello di proporre riflessioni sul ruolo e il significato dell’arte, sulla sua capacità di soffermarsi sugli aspetti meno ovvi della realtà, di tradurla in simboli, stravolgerla e andare oltre. Lo stesso paesaggio urbano può non sembrare il medesimo se “manipolato” attraverso la fotografia.
Illustrating Florence è appunto una mostra fotografica fortemente voluta dalla direzione della Biennale, anche in chiave di omaggio all’Archivio Alinari, da oltre un secolo e mezzo un occhio magico rivolto al mondo della storia contemporanea. Come ha scritto Roberto Mutti, la fotografia è qualcosa che compie un’autentica magia, trasformando la cronaca in storia; dopo un certo periodo, le foto divengono altro, ovvero alla funzione documentaria si affianca l’interrogativo, filtrato dal fascino del passato, a proposito di cosa significhi vedere ed essere visti.
Una sorta di moderno mito di Narciso, per il quale la scoperta della propria immagine in uno stagno, fu la conseguente presa di coscienza di un sistema estetico e simbolico che dà un ordine al mondo. Curando Illustrating Florence, Maurizio Gabbana ha saputo sfruttare al meglio lo spazio della Sala delle Capriate, nell’ex convento delle Oblate, allestendo una pannellatura scura che assorbe la luce circostante e permette di osservare al meglio le fotografie esposte. Come spiega lo stesso curatore, si tratta di un percorso creato d’istinto, immaginando di entrare nella mente di ognuno dei fotografi coinvolti, e pensando un modo per farli dialogare attraverso le loro fotografie.
Ne è scaturito un viaggio attraverso l’uomo, e ciò che vede. Angelo Golizia ci mostra una Firenze immersa in una luce d’altri tempi, con l’Arno immerso nella sera, il Ponte Vecchio al tramonto, sfiorato dall’arcobaleno, il Ponte Santa Trinita ancora al tramonto. Una Firenze romantica. Sulla stessa linea di sperimentazione con la luce, si pone il lavoro di Stefano Vigni, che ritrae la campagna lungo la Via Cassia, immersa in una luce quasi luce medievale, che richiama gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti e Simone Martini, così come le prose più ispirate di Idilio Dell’Era.
Maurizio Galimberti propone invece il Duomo fiorentino, e altri monumenti toscani, “dinamizzati”, e ricomposti in chiave futurista e cubista, un modo per scomporre quelle eterne forme di marmo e pietra, un viaggio nella storia e nel contemporaneo, alla ricerca di radici da tempo dimenticate. Presente, fra gli altri, anche l’elvetico Beat Kuert, fra le cui vedute di New York spicca un panorama dall’alto - con il Chrysler Building e i grattacieli circostanti -, rielaborato in rosso sfocato.
Una mostra che si pone quale una riflessione estetica sul paesaggio, sia urbano sia agreste, estrapolandone quella bellezza che tutt’oggi, ai più, sfugge. Altro evento di rilievo, la mostra Il Casino dell’Arte, ospitata nella splendida Sala della Musica dell’ex Tribunale, ironico titolo per una sala dove invece venivano lette le sentenze di condanna. È ancora visibile una delle gabbie dove gli imputati ascoltavano appunto la lettura del giudice. Curata da Melanie Zefferino, questa è una mostra non “commerciale”, ma pensata per condividere il senso che ancora possono avere le opere d’arte, che trovano posto all’interno di un allestimento minimalista, sia per contenimento della spesa, in un periodo di difficile congiuntura economica, sia per la storia del luogo, che poco si presta agli sfarzi.
Attraverso una selezione di artisti che già in passato hanno espresso attenzione per l’analisi interiore, senza limitarsi alle ricerche formali, si sviluppa la collezione di un ideale Grand Tour contemporaneo, che riscopre valori dimenticati dall’Italietta qualunquista degli ultimi tre decenni. Un omaggio al collezionismo artistico, che aveva anche una valenza di scoperta del mondo, basti pensare a quello che fu il primo Casino della storia, ovvero il Gabinetto fiorentino dei Medici, dove si raccoglievano oggetti d’arte, ma anche strumenti scientifici, bizzarrie botaniche e animali, pietre di paesi lontani.
Collezioni da guardare, da tramandare nel tempo. Ben diverso è oggi il rapporto con l’arte contemporanea, legato a una logica dell’usa e getta, a sua volta condizionato dalla facilità con cui la tecnologia ha rese riproducibili le opere d’arte. La produzione in serie ha fatto venire meno il carattere di unicità che caratterizzava i capolavori. Per questo, la mostra vuole essere uno stimolo a saper vedere la preziosità del singolo oggetto, e ricerca di simboli che sono anche ricordi. Nell’attenta selezione operata dalla curatrice, spiccano, a nostro parere, gli artisti italiani, fra i quali Antonio Pizzolante con le sue Rotte Parallele, opera concettuale sul cammino dell’uomo sulla Terra.
Lo sfondo grigio della tela è evidente richiamo alle difficoltà quotidiane, a quell’angoscia che avvolge il nostro incedere. Tuttavia, le linee rette testimoniano tutta la determinazione dell’uomo a proseguire il cammino. L’artista agrigentino Athos Collura è presente con il Minotauro, una scultura scenograficamente rinchiusa nell’antica gabbia degli imputati. Doppia la valenza dell’opera; da un lato, richiama quelle meraviglie del mondo animale che gli aristocratici collezionisti del passato conservavano nelle loro Wunderkammer; sotto un diverso punto di vista, richiama invece il concetto di metaforico “mostro del labirinto”, che l’intelligenza umana riesce a sconfiggere e, appunto, a ingabbiare.
Inquietante e affascinante insieme, l’allure di Semantron, l’istallazione di Geremia Renzi, che riproduce corpi ridotti a scheletri, colti carponi, la posizione di chi cerca instancabilmente qualcosa, forse l’acqua nel deserto, o forse una meta spirituale. Una ricerca che la morte improvvisa ha però interrotta in un momento forse cruciale. La morte quale ultima inevitabile tappa di questo viaggio che è la vita. Illustrating Florence e Il Casino dell’Arte sono visitabili, a ingresso gratuito, fino all’8 dicembre. Niccolò Lucarelli