Uno studio dell’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana (Irpet) stima che sul territorio della provincia di Grosseto la spesa diminuirebbe di circa 18-20 milioni di euro, con un risparmio stimabile intorno il 30%. Per la nostra regione potrebbe giungere a toccare quasi 400 milioni di euro l’anno a regime. E ancora lo studio evidenzia che i piccoli comuni costano relativamente molto per produrre servizi poveri. Al di sotto di una certa dimensione è impossibile che un ente locale fornisca servizi soddisfacenti per la propria comunità.
Le spese per il ‘funzionamento della macchina’ lasciano poche risorse a disposizione, sia finanziarie che umane. La relazione di Sabrina Iommi dell’Irpet al centro del convegno sulla riforma delle autonomie locali in Toscana e i processi di fusione. Possibili risparmi fino a 400 milioni in Toscana, 18-20 milioni nel grossetano. Grosseto – “Il mantenimento dell’assetto istituzionale vigente non è una scelta neutra, ma implica una precisa preferenza per il taglio dei servizi”.
Sabrina Iommi, ricercatrice dell’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana (Irpet), ha concluso così la sua relazione al convegno “La riforma delle autonomie locali in Toscana ed i processi di fusione”. L’attuale assetto istituzionale, infatti, non corrisponde più alle comunità reali. La popolazione usa quotidianamente bacini territoriali molto più ampi di quelli governati dal singolo ente locale. Alcuni servizi vengono già progettati e gestiti su scala maggiore.
Si pensi, ad esempio, a quelli a rilevanza industriale come rifiuti, trasporti, idrico, oppure alle varie forme di associazionismo. “L’eccesso di frammentazione comporta costi rilevanti, sia espliciti, come i costi di funzionamento delle singole strutture, sia impliciti, come il ruolo debole degli enti locali – ha rilevato Iommi – La riduzione della frammentazione consente risparmi di spesa significativi, ma anche altri effetti positivi: potenziamento dei servizi, maggiore omogeneità dell’accesso agli stessi, riduzione dei passaggi burocratici, maggiore specializzazione degli operatori pubblici, maggiore peso decisionale degli amministratori locali”.
Solo sul fronte della spesa i risparmi stimati dall’Irpet oscillano dai 18 ai 20 milioni di euro. Su scala regionale la cifra sfiore i 400 milioni di euro. “Mantenere gli assetti esistenti non è una scelta neutra – ha cocncluso il vicepresidente della commissione Affari istituzionali Alessandro Antichi – In attesa che il Parlamento metta finalmente mano alla riforma complessiva dell’architettura della Repubblica, è nostro dovere attuare un processo di autoriforma delle istituzioni locali, sulla base della legislazione vigente”.
“ Si tratta – ha precisato – di promuovere processi volontari di aggregazione, mediante la fusione di Comuni, sulla base di progetti condivisi”. “E’ indubbio nella tutela delle autonome scelte delle comunità locali, storica ricchezza della Toscana, che il processo di ridefinizione delle dimensioni comunali o degli ambiti di esercizio di determinate funzioni sia necessario per garantire la miglior capacità delle Amministrazioni pubbliche di offrire risposte e servizi ai bisogni dei cittadini.
Comprendo che non si tratta di un processo semplice, né di immediata attuazione: comprensibili le resistenze culturali di fronte a simili novità. Iniziative come quelle di oggi servono pertanto proprio a condividere con i cittadini una diffusa conoscenza delle opportunità che una simile riforma offre alla toscana”. E’ il saluto inviato dal presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci ai partecipanti al convegno “La riforma delle autonomie locali in Toscana ed i processi di fusione”, alla Camera di Commercio di Grosseto. Il testo è stato letto dal presidente della commissione Affari istituzionali Marco Manneschi in apertura dei lavori del convegno.
Manneschi ha fatto il punto sui processi di fusione in corso nella nostra regione, indicando limiti e criticità. Manneschi ha sottolineato l’impegno del Consiglio al rispetto sostanziale della volontà dei cittadini. “La legge sul sistema delle autonomie locali (68/2011) ha funzionato, anche se in alcuni casi i cittadini sono stati contrari alle fusioni – ha osservato - L’aspetto fondamentale non è quello economico. L’elemento cruciale è la progettualità. La fusione deve avvenire sulla base di un progetto, che permetta alle comunità di mettersi in discussione e superare le paure e le diffidenze che vengono dal passato”. Dopo i referendum consultivi che ci sono stati da primavera fino all'inizio di ottobre, nel 2014 in Toscana ci saranno sedici Comuni che diventeranno otto.
E per loro c'è una buona notizia. "La giunta ha deciso di inserire nella prossima legge finanziaria una modifica alla legge regionale 68 del 2011 che concedeva contributi, tra l'altro, proprio ai Comuni che decidono di fondersi – annuncia a Grosseto, l'assessore Vittorio Bugli – Quei Comuni per riscuotere i maggiori contributi non dovranno più attendere l'anno successivo all'elezione dei nuovi sindaci, dei nuovi consigli comunali e delle nuove giunte. I soldi arriveranno in cassa l'anno stesso".
Già dal 2014. Ogni Comune che si fonde può contare oggi in Toscana su 250 mila euro l'anno per cinque anni di maggiori contributi regionali, fino ad un massimo di un milione di euro per fusione. A questi si aggiungono i finanziamenti dello Stato, che variano a seconda della popolazione e sono il 20 per cento, per dieci anni, dei trasferimenti erariali che gli stessi Comuni potevano vantare nel 2010. I Comuni che si fondono sono anche esentati per 3 anni dal rispetto del tetto del patto di stabilità e in questo modo possono far ripartire gli investimenti da troppo tempo fermi.
Per chi però tarderà a decidersi se fondersi, gli incentivi rischiano di farsi in futuro più leggeri. E dunque conviene affrettarsi. Nelle modifiche che si pensa di apportare al testo, qualora la legge di fusione venga approvata dopo il 31 dicembre 2014 (e la legge è immediatamente successiva ai referendum consultivi, nel caso chiaramente di una vittoria dei sì) il contributo annuale scenderà a 100 mila euro per comune, fino ad un massimo di 400 mila euro per fusione. Otto comuni al posto di sedici – Sono sedici i comuni che hanno già scelto di fondersi e dove i sì hanno vinto nei referendum consultivi decisi dalla Regione: sedici Comuni che diventeranno appunto otto.
Le elezioni si svolgeranno nel corso del 2014. Si tratta di Fabbriche di Vallico e Vergemoli, di Figline Valdarno e Incisa Valdarno, di Castelfranco di Sopra e Pian di Scò e di Castel San Niccolò e Montemignaio. E poi ancora di Pratovecchio e Stia in provincia di Arezzo, di San Piero a Sieve e Scarperia in provincia di Firenze, di Crespina e Lorenzana in provincia di Pisa e di Casciana Terme e Lari, sempre in provincia di Pisa. I Comuni dove un referendum si svolgerà nel 2014 potranno andare a nuove elezioni nel 2015.
Le Unioni - E poi ci sono le unioni di Comuni, non alternative ma spesso complementari alle fusioni di Comuni. Oggi le Unioni di Comuni in Toscana sono ventisei. L'ultima a costituirsi è stata quella del Valdarno inferiore. Quella più grande, 14 comuni e più di 120 mila abitanti, è l'Unione della Valdera, nata cinque anni fa. Enti intermedi senza alcun costo aggiuntivo per la politica, che coinvolgono oltre centocinquanta comuni su 287 (ed un quarto della popolazione toscana), più di quelli che sarebbero al momento obbligati a gestire insieme, per legge, funzioni e servizi fondamentali.
Obbligo che dal 1 gennaio 2014 riguarda tutti i Comuni sotto 5.000 abitanti (che scendono a 3.000, se montani). Il personale delle Unioni è tutto dei Comuni che le compongono. “La filiera istituzionale è troppo lunga e genera costi eccessivi. Va ridotta. Ho molti dubbi che il modo più efficace sia attraverso le fusioni”. E’ stato il presidente della Camera di Commercio di Grosseto, Giovanni Lamioni, ad aprire il dibattito. “E necessario rimettere in discussione tutto il sistema delle autonomie locali – ha affermato – E’ giusto cambiare i confini amministrativi, in modo volontario, ma occorre guardare a tutta la filiera istituzionale in termini di progetto e pensare ad enti in grado di governare le economie locali”.
“La vera questione è come si organizza il decentramento amministrativo – ha osservato il presidente della provincia di Grosseto Leonardo Marras – Le fusioni sono una grande opportunità nelle aree fortemente urbanizzate, ma sono meno uitli nelle aree rurali”. A suo parere occorre guardare alla realtà di altri paesi europei, che ad esempio assegnano ad enti intermedi funzioni che non possono essere svolte dalla Regione o dai Comuni, per far sentire i cittadini più vicini alle istituzioni.
“Non dobbiamo disperdere un patrimonio. C’è tanta storia dietro le comunità. Ad esigenze specifiche occorrono soluzioni specifiche”. Sono intervenuti, tra gli altri, i sindaci di Pian di Scò, Nazareno Betti, di Roccastrada, Giancarlo Innocenti, di Capalbio Luigi Bellimori e la vicesindaco di Magliano in Toscana Eva Bonini. Presenti tra il pubblico i consiglieri regionali Vanessa Boretti e Marco Spinelli. “E’ l’ora di smetterla di fare questi ‘conti’ a tavolino – commenta il Presidente di Uncem Toscana Oreste Giurlani – non è realistico che le fusioni dei piccoli comuni portino ad un risparmio di 400 mln.
Innanzitutto sono i cittadini ad esprimersi sulla fusione o meno attraverso uno specifico referendum, quindi la loro scelta è sacrosanta, ma non è giusto far passare tali messaggi, chi fa tali studi ci venga a spiegare come è possibile ottenere questi risparmi. Poi ancora, in questo modo in nome di un presunto contenimento delle spese della politica si riduce notevolmente la rappresentanza democratica dei cittadini e la rappresentanza territoriale nell'ambito dei singoli territori”. “E a proposito di questi ‘lucrosi’ risparmi - aggiunge - voglio ricordare che abbiamo già dato: con la gestione per macroaree per esempio dei servizi idrici (Ato) abbiamo visto che a fronte di un servizio rimasto pressochè uguale, o forse peggiorato, le tariffe invece sono sensibilmente cresciute.
Se non c’è un vero disegno condiviso da tutti che veda nella fusione una strada virtuosa, non la si può imporre, e poi ricordiamoci che si privano le amministrazioni comunali dell'apporto di veri e propri volontari che aiutano a fronteggiare le varie necessità e contribuiscono a facilitare e favorire il rapporto tra istituzioni locali e cittadini. Quanto vale questa risorsa che è fatta dal rapporto intenso dei cittadini verso le proprie comunità e che proprio nei piccoli comuni trova la sua espressione più forte? “In quanto ai costi della politica, figuriamoci se sono qui, basterebbe ricordare – chiude Giurlani - che il consigliere comunale di un piccolo comune percepisce un gettone di presenza che va dai 13 ai 16 euro lordi a seduta, in media per 10-12 sedute di consiglio l'anno, i sindaci percepiscono indennità che vanno da 500 a meno di mille euro mensili, insomma il risparmio per i piccoli comuni sarebbe di qualche migliaia di euro, altro che 400 mln”. "In questo modo si vuol far passare il messaggio che la fusione fra comuni è una nuova formula organizzativa, il che è una sciocchezza totale.
E' oltretutto irrispettoso nei confronti delle comunità locali e del dettame costituzionale". E' su tutte le furie Daniele Rossi sindaco di Seggiano (Grosseto), piccolo comune di mille abitanti, raggiunto da Agipress in merito all'iniziativa del consiglio regionale organizzata oggi in Camera di commercio a Grosseto proprio su questo tema. Uno studio dell'Irpet, dal titolo "Dimensioni dei governi locali, offerta di servizi pubblici e benessere dei cittadini", illustrato proprio in quella sede, indica che un risparmio di 18-20 milioni di euro, solo nella provincia di Grosseto, deriverebbe dalla fusione dei piccoli comuni, cifra che proiettata a livello regionale salirebbe addirittura a 200.
"Sono cifre del tutto fantasiose – taglia corto il sindaco di Seggiano -. Io trovo oltretutto molto discutibile che la Regione eroghi finanziamenti per i comuni che procedono in quel senso, considerando che i reali risparmi che si possono ottenere sono minimi. I fondi andrebbero dati per erogare servizi e non per incentivare la riduzione del numero dei comuni. In ogni caso - spiega ancora Rossi - si traveste da mandato istituzionale quello che è, e spero sia, il parere di alcuni". Il sindaco di Seggiano non dice no in assoluto alle fusioni ma non le ritiene sempre praticabili e comunque non decisive nel tentativo di ridurre i costi della macchina pubblica locale: "La strada delle Unioni dei comuni evidentemente non viene ritenuta congrua ma non ci sono dati che testimoniano questo, nonostante tutte le difficoltà che si sono incontrate e si incontrano nel costituirle e farle funzionare.
Quanto alle fusioni possono sicuramente essere accettate quando avvengono su un piano di parità fra comuni. Del resto gli esiti della tornata referendaria dei giorni scorsi non vanno tutti nella stessa direzione e confermano questi dubbi – conclude Rossi - . Se il consiglio regionale sposerà questa linea dimostrerà di non aver capito la reale portata del problema". “Penso che l'Irpet abbia cose ben piu' importanti da fare che dilettarsi nel proporre sistematicamente riduzioni del numero dei comuni in Toscana”.
Così il Coordinatore Piccoli Comuni Anci Toscana Pierandrea Vanni che poi aggiunge “Pochi mesi fa parlava di portarli a cento, al convegno di Grosseto i suoi esperti sono arrivati ad ipotizzarne una cinquantina. Questa “caccia” ai Comuni, nei quali per la verità l'Irpet non è certamente solo, avviene proprio mentre, a fronte del possibile scioglimento delle Province, la Regione ipotizza di trasferire importanti deleghe ai Comuni e con l'assessore Bugli parla della necessità di un loro “’rafforzamento’.
Che paradossalmente, secondo l'Irpert dovrebbe passare attraverso un'incredibile massa di fusioni per dar vita magari a mini-Province. Che poi i recenti referendum abbiano dato risultati contrastanti e diversificati, a conferma che i processi di fusione possono anche essere complicati e non sempre condivisi dai cittadini, questo per i tecnici è assolutamente secondario. Forse è davvero il momento di fare chiarezza. E che la Regione precisi almeno due cose: ha davvero i fondi sufficienti per assicurare i consistenti contributi, oltre a quelli statali, previsti per i Comuni che si fondono, per far fronte al ‘disegno’ di riforma istituzionale vagheggiato dall'Irpet? A parte questo: crede ancora nelle Unioni dei Comuni, nel loro ruolo e nel loro rafforzamento o ha cambiato idea?”