FIRENZE - Un’opera d’arte in forma d’autoritratto è probabilmente la più ambiziosa delle creazioni che un artista possa realizzare. Attraverso i tratti del suo volto, egli parla di sé, delle sue ambizioni e angosce, dei suoi dubbi e spavalderie. Si tratta di una sorta di autobiografia visiva, scelta coraggiosa prima ancora che narcisistica, che quasi sempre esprime un’intensità tanto intima da indurre chi osserva a provare una certa qual commozione. Sensibilità che certo non manca ai raffinati intenditori d’arte, fra i quali primeggiavano i Medici, gloriosa dinastia che fece grande la Toscana in Italia e nel mondo.
Fu appunto il Cardinale Leopoldo de’ Medici, nel XVII Secolo, a iniziare la collezione di autoritratti d’artista che, arricchitasi nel tempo, è oggi uno dei fiori all’occhiello della Galleria degli Uffizi. Le quattrocento opere sinora esposte, si arricchiscono oggi di altri 127 ritratti di artisti del Novecento e del Duemila, provenienti dalle riserve del museo, che vanno a collocarsi nel tratto terminale del Corridoio Vasariano. Con il nuovo allestimento giunge alla sua conclusione il grande lavoro di recupero di una collezione che trovò nuove acquisizioni nel 1981 - in occasione del quarto centenario della Galleria, quando Luciano Berti chiese in dono un autoritratto ai maggiori esponenti dell’arte contemporanea italiana e straniera -, e nel 2005, tramite la Collezione Rezzonico.
Acquisizioni che dimostrano l’attenzione costante che la direzione della Galleria riserva al prestigio del museo. L’attuale esposizione è una sorta di dizionario dell’arte, poiché uno accanto all’altro, si trovano i più grandi esponenti dell’arte mondiale, da Balla a Marini, a De Chirico, passando per Chagall, Rauschenberg, e Fabre. Sulla parete sinistra gli artisti stranieri, su quella destra gli italiani. Un confronto lungo tutto un secolo di storia dell’arte, dall’approccio figurativo futurista all’assemblaggio di radiografie di Rauschenberg.
Presenti anche autoritratti in forma di scultura di cemento, terracotta, bronzo ossidato, sospesi a metà fra la tradizione primitiva e l’innovazione tecnologica. Alla base dell’esposizione, l’urgenza di sottoporre al confronto l’ampia varietà espressiva che ha caratterizzato l’arte contemporanea, che ha vista la rielaborazione rinascimentale di Carrà, accanto all’astrattismo classico di Berti, per continuare con gli esempi. Volendo analizzare due opere nello specifico, ci sembrano particolarmente interessanti due autoritratti di artisti diametralmente opposti.
Antonio Ligabue e Vanessa Beecroft. Dall’autoritratto del primo, emerge il dramma di un uomo segnato da un’esistenza sfortunata, e la cui stralunata sensibilità lo ha continuamente relegato ai margini. Invece, Vanessa Beecroft, performer italo-britannica, è presente con un autoritratto del 2006, nel quale posa in abito bianco, quasi virginale, mentre tiene in braccio due neonati di colore. Ancora una volta traspare quell’irreale proiezione della coscienza collettiva, a sensibilizzare l’opinione pubblica contro le piaghe del razzismo, della fame nel mondo, dell’AIDS e degli orfani di guerra. Due opere non correlate, ma che danno la misura della vastità dell’arte, che può essere specchio dell’Io, o di una più ampia coscienza collettiva. L’attuale progetto, che non rientra nel “contenitore” dei Grandi Uffizi, è inteso come una sorta di anteprima, nel senso che l’obiettivo finale è quello almeno di raddoppiare il numero degli autoritratti esposti.
Difficile pensare a un’esposizione completa delle 1776 opere della collezione, poiché la delicatezza di quelle realizzate su carta ne consiglia l’esposizione soltanto per brevi periodi. In questo caso, si è pensato di procedere per rotazioni, alternando le opere visibili. Con l’occasione dell’allestimento dell’ultimo tratto, la Soprintendenza fiorentina rende noto che dal 28 settembre riprendono, su prenotazione, le visite complete al Corridoio Vasariano. Per informazioni 055 290383. Niccolò Lucarelli