E’ stato presentato stamattina in Provincia a Firenze, il II Rapporto sull’esclusione sociale in Toscana, realizzato dalla Regione attraverso l’Osservatorio Sociale regionale e la Rete degli osservatori provinciali. L’indagine fornisce un quadro conoscitivo approfondito su servizi e strutture che sul territorio toscano si occupano di contrastare il fenomeno della povertà alimentare, uno degli effetti della crisi che negli ultimi anni sta mettendo in difficoltà un numero sempre maggiore di famiglie, costrette ad affidarsi alla rete di associazioni ed enti che operano in questo settore. “Siamo di fronte – ha detto l’assessore regionale Salvatore Allocca – a vere e proprie patologie sociali che colpiscono l’Italia in misura maggiore degli altri Paesi dell’unione Europea, come la “scarsità dell’abbondanza” e l’estremizzazione delle disuguaglianze”.
E’ per questo che dobbiamo essere capaci di costruire un’allenza per aiutare i poveri, rendendo la povertà incostituzionale e illegale. Oggi il sistema degli enti territoriali toscani assicura circa 250 milioni di aiuto all’anno. Sarebbe sufficiente tassare di 10 euro al mese le case sfitte (ovvero dell’equivalente di un cappuccino e una brioche alla settimana) per ricavare altri 50 milioni di euro da destinare a questo scopo”. L’assessore ha motivato l’inadeguatezza dei servizi sociali italiani in confronto con quelli degli altri Paesi europei (i “successi” contro la povertà in Europa rappresentano il 10% del totale degli interventi, in Italia solo il 4%) con la mancanza di adeguate politiche abitative e di un reddito minimo per tutti.
E’ per questo che anche la povertà alimentare è in crescita. Così la Regione Toscana entro l’estate presenterà una modifica alla legge regionale 32 del 2009 (Interventi per combattere la povertà ed il disagio sociale attraverso la redistribuzione delle eccedenze alimentari). “La Toscana sta meglio di altre regioni italiane – ha aggiunto Salvatore Allocca – ma una parte sempre crescente della popolazione sta scivolando nella povertà che oggi colpisce anche famiglie italiane che finora ne erano fuori.
Per questo intendiamo anche sviluppare un sistema informativo per incrociare meglio domanda e offerta, diffondere i centri di distruzione anche nelle città meno popolose e offrire sostegno economico alle numerose associazioni che garantiscono questa rete di protezione sociale”. L’assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Firenze, Antonella Coniglio, ha detto che “La Provincia di Firenze si occupa del coordinamento della ricerca nell’ambito della Rete degli Osservatori Sociali che svolgono un’attività di osservazione, analisi e previsione dei fenomeni sociali nonché di monitoraggio e valutazione di impatto degli interventi per quanto riguarda le politiche di welfare sul territorio.
Accanto al ruolo fondamentale di rilevazione e analisi la Provincia partecipa con una consistente rete no profit. Sono infatti oltre 1100 le associazioni presenti sul territorio provinciale fiorentino che operano attivamente nel sociale”. “Il Rapporto sull’esclusione sociale presentato oggi a Palazzo Medici Riccardi può dare significative indicazioni circa lo stato dell’arte nei servizi pubblici e del privato sociale – conclude – apportando un contributo essenziale alle politiche del welfare per migliorare i livelli di efficienza ed efficacia”. Famiglie in difficoltà L’indagine fa il punto sulla difficoltà crescente da parte delle famiglie italiane, sempre più costrette ad eliminare, più che a ridurre, le spese legate a voci non strettamente necessarie e, per quanto riguarda la spesa alimentare, a cercare strategie di risparmio (in 6 anni sono più che raddoppiate quelle che vanno all’hard discount, toccando il 20%, e più di 2 su 3 hanno modificato quantità e/o qualità dei prodotti acquistati).
L’Istat ha stimato nel 2011 2,8 milioni di famiglie in condizioni di povertà relativa, circa 8,2 milioni di individui. La povertà assoluta nel 2011 ha riguardato il 5,2% delle famiglie, 3,4 milioni di residenti, in crescita rispetto al 2010 (4,6%). In Italia circa la metà della spesa sociale (in termini assoluti è il valore più alto fra i Paesi Ue) è assorbita dalla protezione della vecchiaia; risorse residuali sono dedicate al sostegno delle famiglie, alla disoccupazione e al contrasto delle condizioni di povertà ed esclusione sociale. Reddito familiare – 2,6%, disoccupati + 29% L’incidenza della povertà relativa tra le famiglie toscane nel 2011 ha toccato il 5,2%, uno dei valori più bassi a livello nazionale.
Per anni la Toscana è stata considerata regione ‘mediamente benestante’ con un reddito pro-capite superiore alla media. Ma dall’inizio della crisi (2007) la situazione è peggiorata, mettendo in evidenza alcune debolezze strutturali: crisi del manifatturiero, scarsa propensione ad investire in innovazione, contrazione dei consumi. Dal 2008 al 2011 il reddito reale delle famiglie toscane si è ridotto del 2,6%, varie le cause: perdita di lavoro, sia in termini di posti (-22 mila) che di ore, e distribuzione del lavoro in forme meno redditizie (Cassa Integrazione Guadagni, lavoro part-time, contratti atipici e forme di auto-impiego).
Nel quadriennio sono peggiorati tutti gli indicatori occupazionali: disoccupati cresciuti del 29%, e occupati part-time del 6%, tasso di disoccupazione al 10%, in aumento anche il tasso di inattività tra le donne e tra i giovani, il tasso di disoccupazione giovanile (25%) e coloro che non cercano lavoro né studiano (NEET). Fino al 2010 ammortizzatori sociali e patrimonio accumulato dalle famiglie hanno attutito gli effetti ma la spirale recessiva innescata nel 2011 ha in parte vanificato la capacità di questi strumenti di compensare gli effetti destabilizzanti su famiglie ed imprese.
Se a ciò aggiungiamo le misure di spending review adottate dalla pubblica amministrazione, l’irrigidimento dei criteri di accesso al credito privato e l’erosione dei patrimoni familiari arriviamo alle previsioni infauste per il 2012: caduta del PIL regionale di -1.7% e conseguente riduzione dell’occupazione di altre 20 mila unità. Strutture contro la povertà L’indagine sulle strutture che si dedicano al contrasto della povertà alimentare è stata condotta attraverso un questionario on-line, cui hanno risposto 75 organizzazioni (il campo di osservazione è stato limitato a enti ed associazioni che hanno un’attività strutturata e continua nel tempo e che gestiscono casi inviati o segnalati dai Servizi sociali comunali, e approfondimenti attraverso studi di caso che hanno riguardato sei realtà del territorio regionale. Rispetto all’indagine on-line, sono prevalenti le associazioni di volontariato (61,3%) e gli enti di tipo religioso (25,3%).
Più di recente hanno iniziato a svolgere questa attività anche soggetti del privato sociale (associazioni di promozione sociale e coop sociali). Più di un quarto sono dislocati in provincia di Firenze. La maggior parte, 8 su 10, opera in comuni di dimensioni medio-grandi. Circa un quinto dei soggetti ha iniziato l’attività prima degli anni ’90, soprattutto quelli appartenenti a enti religiosi e ad associazioni cattoliche. Tra gli anni ’90 e 2000 si colloca invece circa la metà dei soggetti.
Oltre il 90% delle organizzazioni intervistate ha dichiarato di gestire soprattutto casi di persone inviate o segnalate dai Servizi sociali dei comuni. Questo avviene soprattutto da parte di quei soggetti che offrono servizi strutturati secondo giorni e orari stabiliti, a testimonianza del legame che nel tempo si è creato tra servizi pubblici e soggetti del volontariato ed associazionismo, considerati una componente strategica del sistema di welfare locale preposto al contrasto della povertà. L’indagine ha anche messo in evidenza le criticità sorte nel rapporto con gli enti locali: mancanza di procedure di segnalazione degli invii, scarsa progettualità condivisa, riduzione del sostegno finanziario. Come si finanziano i servizi Riguardo al finanziamento dei servizi, in prevalenza avviene con risorse proprie o ricorrendo a specifiche azioni di fund raising (60% dei casi).
Meno di un terzo dei soggetti rilevati finanzia i servizi con fondi pubblici derivanti da specifiche convenzioni che vengono stipulate soprattutto dalle organizzazioni che distribuiscono pasti a bassa soglia (29,4%), a domicilio (28,6%) o che sono mense sociali (27,3%). L’autofinanziamento è più diffuso per i servizi caratterizzati dalla bassa soglia di accesso (raccolta e stoccaggio di beni alimentari 67,4%, mensa sociale 45,5% e distribuzione dei pasti a bassa soglia 41,2%). Chi è e cosa chiede l’utenza Per quanto riguarda l’utenza, le organizzazioni hanno evidenziato un netto aumento della domanda di assistenza negli ultimi anni.
Gli utenti di nazionalità italiana prevalgono relativamente al servizio di mensa sociale (53,2%) e per la distribuzione di pasti a domicilio (61,4%). Più rilevante la quota di stranieri per la distribuzione di pasti a bassa soglia (53,5%). Se invece spostiamo l’attenzione alle categorie di utenza, famiglie, minori, anziani, pazienti psichiatrici e disabili sono i soggetti principali che ricorrono a quei servizi che, più di altri, si accompagnano ad una presa in carico da parte dei Servizi sociali dei Comuni: buoni spesa e distribuzione di pasti a domicilio.
Immigrati ed utenti inquadrabili nell’emarginazione grave (senza dimora, detenuti ed ex detenuti, nomadi, donne vittime di violenza, adulti con grave disagio socio-economico) ricorrono più frequentemente ai servizi di bassa soglia e ai buoni spesa.