A luglio 1995 i presidenti delle Giunte regionali dell’Emilia Romagna Pierluigi Bersani e della Toscana Vannino Chiti firmano l’OK alla costruzione della tratta TAV Bologna-Firenze. Chiti, in particolare, lo fa dopo che i Comuni del Mugello hanno opposto una fiera resistenza, e i servizi tecnici della Regione hanno espresso sul progetto pareri assai poco incoraggianti. Ma la Giunta Chiti promuove, pubblica e pubblicizza anche uno studio comparato sulle politiche dei trasporti in Europa e in Italia: clamoroso autogoal. Alla Conferenza regionale dei trasporti del giugno ’97 fa notizia la severa stroncatura che quel saggio (Ambiente & trasporto, Verso una riconciliazione sostenibile) riserva alla politica della Regione Toscana proprio in materia di infrastrutture (Variante di Valico autostradale e Alta Velocità ferroviaria): un caso-scuola di cattiva amministrazione delle risorse pubbliche. "Gli effetti sul trasporto delle due infrastrutture non sono stati valutati contestualmente, né è stata fatta una analisi sul ruolo da assegnare nell'immediato futuro alle tre principali modalità di trasporto: strada, ferrovia e cabotaggio marittimo.
Quest'ultimo è stato costantemente neglettato nelle discussioni sui due progetti, dimostrando la mancanza di una visione d'insieme del sistema di trasporto”. Sul piano delle tutele, “non c'è stata valutazione strategica dell'impatto ambientale, dell'assetto territoriale dell'area interessata, del sistema di trasporto futuro, delle aree socio economiche coinvolte. La VIA non ha riguardato gli effetti combinati dei due progetti ed è stata usata in ciascuno di essi per minimizzare gli effetti potenzialmente più negativi per l'ambiente”.
Quel che è peggio, come rileva lo studio del ‘97, “gli aspetti finanziari non sono ancora divenuti problemi tali da imporre chiare scelte di priorità tra i vari modi di trasporto”. Oggi ne apprezziamo le conseguenze. Di qui la definizione assegnata alle scelte infrastrutturali fra Toscana ed Emilia (presidente di quest’ultima Giunta, all’epoca, Pier Luigi Bersani): “politica di lusso”, dove “si tende a finanziare comunque le opere progettate e spesso differenti attori (ferrovie, autotrasportatori, autostrade, etc.) si aiutano, più o meno consapevolmente, nel promuovere i propri specifici progetti”, in omaggio ad un "prevalente credo nei paradigmi della crescita lineare".
Non è un caso dunque - e risulta qui che la Regione Toscana ne era ben al corrente - che il costo della TAV appenninica sia lievitato in maniera esponenziale: dagli iniziali 2.100 mld di vecchie lire, annunciati con una quota del 60% di capitali di rischio privati (progetto presentato ad agosto '91 da Lorenzo Necci), ai 5.205 milioni € interamente pubblici (10.076 mld) che risultano dall’ultima schermata del sito web www.tav.it a dicembre 2004 (quel sito, e i suoi dati, sono poi scomparsi dalla rete).
Altri 28 milioni di euro sono stati stanziati per il ‘ripristino ambientale’ dal Ministero dell’Ambiente e dal CIPE. Letto il saggio, il presidente del Coordinamento dei Comitati e delle Associazioni contro i progetti di alta velocità (di cui Idra è filiazione) chiede con lettera raccomandata al presidente della Giunta Vannino Chiti: “Quanto è costato l'affidamento della ricerca? quante copie ne sono state prodotte e distribuite, e a che costo per l'Amministrazione? come intende la Giunta che Ella presiede giustificare di fronte all'opinione pubblica e al contribuente l'utilizzazione di denaro pubblico per uno studio i cui risultati non appaiono essere stati messi a frutto nelle scelte di politica dei trasporti?”.
Vannino Chiti non ha mai risposto. Dopo la durissima repressione dell’opposizione sociale in Val di Susa al progetto TAV-TAC da parte del governo Berlusconi, mentre è in corso il mega-procedimento penale per i gravi danni ambientali provocati nell’Appennino dalla costruzione della tratta TAV Firenze-Bologna, e quando da un anno si lavora alla demolizione e al rifacimento di un primo tratto di 660 metri della galleria Firenzuola, realizzata nelle argille con cemento non armato (i tratti di galleria da demolire in quell’area ammonteranno alla fine a circa 2 km), a febbraio 2006 Vannino Chiti, coordinatore per le Relazioni politiche e istituzionali della segreteria nazionale Ds, osanna il ‘modello Mugello’. A lui Idra scrive per chiedere come si può fare a sostenere che “per controllo sull'impatto ambientale, i 78 km del tracciato rappresentano un esempio considerato a livello mondiale”, che “rispetto alla media italiana anche i tempi di costruzione sono ragionevoli”, che “mai nella storia del nostro paese un’opera pubblica è stata più controllata di questa”, che “l’esperienza vissuta dal Mugello (...) proprio partendo dai fatti e dai risultati sembra positiva”, che “il Mugello rappresenta un modello per realizzare le grandi opere di cui il nostro paese ha bisogno per tornare ad essere competitivo”, che la tratta appenninica TAV "è una grande opera italiana, la più grande dal dopoguerra ad oggi” e che, “decisa e attuata dal governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi”, essa è stata realizzata “attraverso una esemplare collaborazione con le regioni Toscana ed Emilia Romagna, la Tav e il Cavet".
“Riesce davvero difficile a noi comprendere – chiude Idra - come Ella possa dirsi “soddisfatto di aver contribuito alla sua realizzazione”: se i dati che a noi risultano rispondono al vero, crediamo che le conclusioni da tirare dovrebbero essere alquanto meno enfatiche e più realistiche”. Vannino Chiti non ha mai risposto. “Questo processo ha fatto emergere che Ministero e Regione potevano e dovevano sapere prima quello che sarebbe successo e poi ciò che è accaduto davvero. Ha fatto emergere che Ministero e Regione avrebbero dovuto anche voler sapere ciò che stava accadendo e prevenirlo, e ciò controllando l’operato di CAVET, per evitare i danni, tutelare i cittadini ed il paesaggio.
[...] Riteniamo quindi che Ministero e Regione non abbiano svolto questa loro funzione di tutela, e si ricordi che la funzione è proprio l’espressione da parte della P.A. non solo di un potere, ma anche, e forse soprattutto, un dovere. Per questo rimettiamo al giudice di valutare se rimettere con sentenza gli atti alla Corte dei conti ai sensi dell’art. 129 III comma c.p.p. con riferimento all’operato del Ministero dell’Ambiente e della Regione Toscana qualora si ravvisi come questa Procura ravvisi un caso in cui si è cagionato un danno erariale”.
Così il Pubblico Ministero Gianni Tei, il 10 aprile 2008, al termine della requisitoria pronunciata in Tribunale dopo gli ingenti e irreversibili danni alle risorse ambientali procurati – come attestano gli atti del processo di Firenze – dall’esecuzione del progetto di tratta TAV fra Firenze e Bologna. Un anno e mezzo dopo, a novembre 2009, Vannino Chiti e Claudio Martini hanno voluto anticipare pubblicamente la notizia dell’avvenuto “invito a dedurre” da parte della Corte dei conti, rivolto a loro e a numerosi altri politici e dirigenti, locali e centrali.
Si sono domandati «come si fa a essere danneggiati e danneggiatori al tempo stesso», dato che all’epoca la Regione Toscana da loro amministrata aveva ottenuto un risarcimento di 50 milioni di euro come parte lesa nel procedimento penale a carico di CAVET presso il Tribunale di Firenze. In realtà, la Regione, istituzione pubblica, e i suoi amministratori, decisori politici, non possono essere considerati lo stesso soggetto. Il risarcimento alla Regione è un indennizzo alla Comunità, non alle Giunte.
E se le risorse della Regione sono state danneggiate sia dall’azione dei privati sia da quella dei decisori pubblici, ebbene allora appare non solo legittimo, ma persino doveroso, individuare e perseguire tutti gli eventuali profili di responsabilità personale. Il procedimento per danno erariale (circa 14 milioni di euro) a carico di Vannino Chiti, Claudio Martini e gli altri assessori e dirigenti coinvolti, in cui l’Associazione Idra è intervenuta ad adiuvandum, si conclude il 31 maggio 2012 con una sentenza di prescrizione.
Ma non senza l’attestazione di una “condotta gravemente colposa”. “Dall’esame degli atti e dalle risultanze dibattimentali, è emerso, in modo inequivocabile, che il comportamento, da cui è derivato il danno erariale contestato dalla procura (correttamente definito patrimoniale in quanto relativo all’accertata dispersione delle ingenti risorse idriche), è quello tenuto, per la parte di rispettiva competenza, dai convenuti che, come dettagliatamente indicato nell’atto di citazione, agendo con censurabile superficialità, insolita pervicacia ed in violazione ad elementari norme di diligenza, - pur avendo un’adeguata conoscenza dell’opera e delle conseguenze che avrebbe causato alle risorse idriche, in virtù della consistente mole dì informazioni pervenute nella fase istruttoria e volutamente trascurate o non adeguatamente veicolate, - procedettero all’approvazione dei progetti.
La loro condotta, dunque, non può che qualificarsi come gravemente colposa e, come tale, definirsi, ai fini evidenziati, quale originatrice del fatto illecito da cui è promanato il danno il cui verificarsi, secondo la prospettazione accusatoria, va fatto risalire al periodo in cui essi rivestivano i rispettivi incarichi istituzionali che vanno identificati: - per i componenti delle due giunte regionali, nelle legislature che coprono l’arco di tempo dal 1990 al 2000; - per l’arch. Biagi, dal luglio 1994 al 2000; - per l’arch.
Pera, dal novembre 1992 al settembre 1996. Da tali incarichi i predetti risultano cessati nelle date a fianco di ciascuno indicate, tutte precedenti al periodo coperto da prescrizione”.