di Cecilia Chiavistelli Ho preso parte alla presentazione del secondo libro di Carlo Patrignani, “Diversamente ricchi”, (Castelvecchi Editore, 2012), alla Festa Nazionale della Cultura e dell'Informazione di Firenze 'Le Cascine', del Pd, nell’agosto scorso. In quell’occasione chiesi a Carlo di approfondire l’argomento con una serie domande a cui il giornalista e scrittore romano ha dato una risposta unica ed esauriente, che, partendo dall’idea di Riccardo Lombardi, presente nel suo primo libro, “Lombardi e il fenicottero”, (Edizioni L’asino d’oro, 2010), affronta il superamento di un modello di società basato sul neocapitalismo finanzario.
Così è nato questo testo, di Carlo Patrignani, contenente un pensiero ed una ulteriore elaborazione sul secondo libro “Diversamente ricchi”. “Diversamente ricchi” ossia l’attualità dell’idea, oggi riconosciuta ‘geniale’, di ‘una società più ricca perché diversamente ricca’, formulata nel 1967 da Riccardo Lombardi, è per molti aspetti il seguito del precedente “Lombardi e il fenicottero”, ossia la storia umana e politica dell’Ingegnere ‘acomunista’ e di Ena Viatto, ‘il fenicottero’ comunista, la donna minuta, atea e colta, che gli fu accanto per 52 anni.
Entrambi i libri sono però emanazione e sviluppo di una brevissima frase, la risposta dello psichiatra Massimo Fagioli alla domanda “Lei è comunista?” Di un’ampia intervista apparsa sul Corriere della Sera, alla fine di luglio del 2005, all’indomani della presentazione del programma politico per le Primarie dell’Ulivo, da parte di Fausto Bertinotti alla libreria ‘Amore e Psiche’. “Mai stato… all’epoca stavo con il socialismo di sinistra di Lombardi”, la sintetica e concisa risposta dello psichiatra dell’Analisi Collettiva.
Da quel momento preciso, si è messa in moto una lunga ed affascinante ricerca, che continua ancora, sul politico, Riccardo Lombardi, che per me come per tantissimi giovani e meno giovani, è stato il punto di riferimento, la bussola insostituibile per orientarsi nei meandri della politica, dell’economia, del sociale e della cultura stessa. “Uomo di profonda cultura”, prestato alla politica, all’economia, al sociale, è stato detto da più parti, Lombardi si staccava dalla classe politica dei suoi tempi per analisi, studio, ricerca, progettualità, oltre che per onestà, rigore, coerenza e trasparenza.
Certo, non era il solo, l’unico a possedere qualità siffatte: ma pochi, in verità, riuscivano a tenere il suo passo, a stargli dietro, a reggere le sue analisi della realtà che viveva e di conseguenza i suoi progetti che anticipavano di decenni gli avvenimenti. Certamente, Bruno Trentin, altro ‘uomo di cultura’ prestato al sindacato, alla Fiom prima, poi alla Cgil, ed infine alla politica; Vittorio Foa, Giuseppe Di Vittorio, Fernando Santi, Tristano Codignola, Antonio Giolitti, Giorgio Ruffolo, Fausto Vigevani, Paolo Leon.
Ne ho sicuramente dimenticati tanti altri, e appositamente quanti e non furono pochi si servirono del prestigio della ‘sinistra lombardiana’ unicamente per la loro carriera. Cosa attraeva ed affascinava delle analisi, elaborazioni, progetti di Lombardi mai uomo di potere e sempre uomo di ricerca e dialettica? L’utopia di un mondo migliore che aveva al centro ‘la povera gente’, il ‘popolo-lavoratore’, insomma la persona umana portatrice di bisogni materiali - casa, lavoro e salario dignitosi – ossia di beni essenziali per la sopravvivenza ma anche di bisogni immateriali – diritto alla buona salute, al tempo libero, alla qualità della vita, alla cultura – indispensabile per la crescita, lo sviluppo personali: ogni individuo deve decidere della propria esistenza e della propria vita! Nessuno – ammoniva sin dagli anni Venti – deve restare senza lavoro, senza salario! Questo metodo di far politica (“Noi non combattiamo per il Psi, noi combattiamo per il socialismo…il nostro riferimento è il popolo-lavoro: per il Pci il principio è il partito”) lo portava inevitabilmente ad anticipare di molti anni la stessa svolta storica della socialdemocrazia tedesca di Bad Godesberg del 1959: "I socialisti mirano a creare una società in cui ogni individuo può sviluppare liberamente la sua personalità"… Così come lo portava ad anticpare di molti anni, i drammatici fatti d’Ungheria (1956) e di Praga (1969) per aver visto, intuito, compreso che nell’Urss non era affatto nato ‘l’uomo nuovo’ di Carlo Marx, né tanto meno si era pervenuti alla ‘liberazione’ ed ‘emancipazione’ dell’uomo.
Essere avanti, e di molto, al corso naturale della storia, lo mettevano spesso nei ‘guai’… “Soffre di presbiopia” oppure è “un formidabile utopico”, erano le critiche che i suoi ‘avversari’ gli muovevano dall’alto della loro miserevole concezione della politica come ‘potere’ e ‘carriera’! Mai un’accusa o critica di ‘incompetenza’ o peggio di ‘disonestà’ ed ‘incoerenza’. “Cosa mi ha insegnato la vista? Ad esser onesto, innanzitutto”, ripeteva come un disco rotto.
Il partito? È lo strumento insostituibile attraverso cui trovare “una via d’uscita” ai problemi della ‘povera gente’. E, aggiungeva, “non c’è problema che non abbia una soluzione a patto che non venga negato”. Il partito dunque era lo strumento e non il fine, per cambiare dall’interno la struttura del capitalismo, divenuto “troppo costoso per l’operaio, per noi, per l’umanità intera”. Il cambiamento doveva avvenire attraverso “le riforme di struttura” e non “con la rivoluzione armata”: una riforma strutturale di seguito all’altra per ‘rompere’ lo status quo.
Sì, ma quali riforme di struttura? Quelle non indolori che determinano un trasferimento dei poteri dall’altro verso il basso. Per che cosa? Per quei beni materiali universali, come fu la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la scuola media dell’obbligo, il diritto per tutti allo studio e all’istruzione, lo Statuto dei diritti dei lavoratori perché la Costituzione non poteva restare fuori dai cancelli delle fabbriche. “Ai lavoratori non daremo un aumento salariale - notava in una lettera del 1962 al Presidente del Consiglio, Amintore Fanfani che guidava il monocolore dc appoggiato dall'esterno dal Psi – ma un bene più prezioso e pregiudiziale: un nuovo clima nei luoghi di lavoro, maggiore libertà sindacale e dunque politica, un maggiore potere”.
E con lo Statuto, divenuto legge nel 1970, si introdusse "il metodo della concertazione", ossia il riconoscimento dei sindacati come 'soggetti politici'. Il governo Fanfani, insomma, gettò così le basi, aprì le porte ad una innovazione 'diversamente ricca'. Ecco che si viene delieando la ‘società più ricca perché diversamente ricca”, non una società più povera né tanto meno ‘monastica’ o ‘francescana’, oppure austera e triste, ma appunto più ricca, magari sobria, e più allegra.
Non una società che produce, consuma e brucia velocemente beni superflui e non durevoli, una società cioè con ‘meno consumi’ ma ‘con più consumi qualitativamente diversi’. Una impostazione che a distanza di molti anni ha trovato il suo humus ideale nella ricerca in corso nel Partito Socialista Europeo a partire dalla Progressive Convention di Bruxelles del 25 novembre 2011, sui valori fondamentali della socialdemocrazia del XXI° secolo che coinvolge oltre i politici in senso stretto, intellettuali, economisti, storici e studiosi delle discipline sociali.
Fermi restando i valori classici mai messi in discussione, quelli della Rivoluzione francese, libertà, uguaglianza, giustizia sociale, solidarietà, la ricerca ruota attorno ad alcune parole e al significato che debbono avere oggi per tentare di contrastare e superare la devastante crisi finanziaria ed economica che sta minando alle fondamenta l’Unione Europea e l’euro e costruire le 'società progressiste'. Si tratta di parole come ‘benessere’ e ‘qualità della vita’ riferiti ovviamente alle persone umane; ‘progresso’; ‘crescita’; ‘sviluppo sostenibile’.
Perché c’è in ballo una sfida epocale, che è culturale e politica, in Europa tra due modelli di società: uno, quello creato dal neoliberismo e dal capitalismo finanziario che tutto regolano in termini di denaro, facile guadagno, di potere e carriera, di consumismo sfrenato e di individualismo esasperato; l'altro, invece, da progettare e definire che punta a mettere al centro 'la persona umana' con i suoi 'bisogni materiali' ma anche 'immateriali', quindi la società come luogo delle insopprimibili relazioni umane, la cultura, la conoscenza, il sapere.
In altre parole, la definizione di una nuova economia e di un nuovo modello di società che assumono - per la prima volta nella storia della sinistra - un aggettivo da sempre trascurato: umano. Si comincia infatti a parlare di ‘Humaneconomy’: e questo è l’attuale incipit su cui si stanno cimentando economisti e intellettuali. In questa affascinante ricerca ha il suo spazio l’idea di ‘una società più ricca perché diversamente ricca’ che contiene in se l’altra, ‘non meno consumi, più consumi, ma qualitativamente diversi’.
Perché – diceva Lombardi – non si tratta di ‘vivere meglio’ quanto di ‘vivere diversamente’ e disegnava così non una societa’ ‘più povera’, fatta di rinuncie e sacrifici, nè una società ‘austera’ e ‘triste’. Da notare che Lombardi non parlava di ‘felicità’, termine che non ricorre mai nelle sue elaborazioni, quanto di ‘crescita’ e di ‘sviluppo’ personali: ossia della formazione di una personalità e/o identità individuale, perché ognuno potesse decidere della propria esistenza e della propria vita.
Per fare ciò andava radicalmente cambiato il sistema e l’apparato produttivo: cambiare i pezzi del motore senza bloccare il motore! Assicurare obbligatoriamente quei ‘beni materiali’ universali legati alla sopravvivenza: una casa, un lavoro e un salario dignitosi, la salute fisica e psichica ma al tempo stesso anche beni ‘immateriali’ universali, indispensabili alla formazione e realizzazione di una propria personalità: l’istruzione, il tempo libero, la cultura, la qualità della vita.
Qui l’idea di Lombardi ha trovato il suo naturale sviluppo nella tesi formulata negli anni ’80 e ulteriormente approfondita da Fagioli sulla distinzione tra bisogni ed esigenze, una parola che a sinistra non è stata mai pronunciata. “Distinguere tra bisogni ed esigenze. Che la sinistra sia caduta su questa assenza di distinzione tra i due termini?(1)”. E ancora, “Sinistra: nella storia della sinistra non c’è mai stata la parola esigenze. La parola trasformazione è ‘trasformare il mondo’.
Nessuno ha mai pensato di trasformare la realtà umana (2)”. Tornatoci di nuovo sopra, ha precisato: “Bisogni ed esigenze. Le esigenze sono proprie della realtà umana. I bisogni, se non vengono soddisfatti, fanno morire il corpo. Le esigenze, se non vengono realizzate, fanno morire la mente. Penso alla parola libertà; penso che quanto va cercato è la libertà di realizzare la propria realtà umana. La fantasia mi fa proporre che, se ciascuno realizza la propria identità umana, la società può essere fatta da diversi.
Senza equivoci; senza diversità nella soddisfazione dei bisogni del corpo che sono uguali per tutti; libertà nella realizzazione delle esigenze originali in ogni essere umano (3)”. In soldoni, la prassi politica deve essere preceduta e quindi basarsi, far riferimento ad una nuova perché rinnovata cornice ed orizzonte teorico e culturale. L’Ingegnere ‘acomunista’ – nè filo nè anticomunista – progettava insomma un sistema produttivo che rendesse compatibile il lavoro per tutti (nessuno deve restar privo di lavoro) con il tempo libero: "chi l'ha detto che bisogna lavorare sei giorni la settimana per otto o nove o dieci ore? Si può costruire un sistema produttivo in cui si può lavorare tre giorni la settimana ma con il doppio di lavoratori, con una decurtazione del salario ma con la disponibilità di un bene prezioso come il tempo libero per se, gli altri, per fare l'amore".
Dunque, un lavoro di tre giorni la settimana e non di sei, scandito su 24 e non 48 ore settimanali, comportava un salario inferiore ma la disponibilità di altri beni più preziosi: il tempo libero; l’accesso alla cultura; una qualità della vita profondamente diversa e una vita di coppia e di famiglia piu’ umana, perché magari entrambi avevano un lavoro e potevano quindi alternarsi nel cosiddetto ‘lavoro familiare’ seguendo passo passo i propri figli. Non c’era in questa visione lombardiana – e fa evidenziato e rimarcato - la rinuncia o il sacrificio di stampo religioso e cattolico, c’era semmai un uso più sobrio e attento delle risorse, una contropartita tra meno beni voluttuari e superflui e beni più preziosi, come il tempo libero, la qualità della vita, la cultura.
Ovvio che questo progetto e modello di società per esser realizzato richiedeva una alleanza tra tutte le forze politiche progressiste in Europa a partire da un ‘programma comune’ tra socialisti e comunisti in Italia: la sfida culturale e politica era e non poteva esser altrimenti con il capitalismo e la finanza, con l’ideologia neoliberista. Ma anche – erano i primi anni ‘80 – con la socialdemocrazia che mostrava i primi segni di cedimento di fronte all’offensiva neoliberista. Ci voleva un’inversione di rotta, un forte cambiamento nei rapporti tra le forze progressiste.
“È qui che nasce la grande ipotesi socialista...[...] Ma chi ha detto che il socialismo è ormai scomparso dalle prospettive, che si tratta di un’idea invecchiata che nessuno sa più definire in modo credibile se non come vaga aspirazione all’uguaglianza e alla giustizia? Oggi siamo all’apertura di una situazione in cui o si trova una soluzione socialista oppure siamo alle barbarie, questa è la realtà delle cose”. Anche oggi nel 2012 in vista delle Europee del 2014 è valido come lo è stato negli anni ’80, quel monito di Lombardi: o si trova una soluzione socialista oppure siamo alle barbarie.
1 - Massimo Fagioli, Libera ricerca o ricerca libera?, in Left, 24 febbraio 2006, Ed.L’Asino d’oro, Roma, 2009 2 - Ibidem 3 - Massimo Fagioli, ‘La libertà è l’obbligo di essere esseri umani’, Left 31 marzo 2006, Ed. L’Asino d’oro, Roma 2009