Due prestigiosi premi alla carriera segneranno l’Albo d’oro del Premio Satira Politica che festeggia la sua quarantesima edizione: uno intitolato alla memoria di Edmondo Berselli, indimenticabile amico e giurato del Premio - sarà assegnato ad ALBERTO ARBASINO; l’altro sarà dedicato al disegnatore ALTAN. Entrambi i vincitori saranno presenti alla Conferenza Stampa e alla Cerimonia di Premiazione in programma a Forte dei Marmi sabato 15 settembre, rispettivamente alle ore 11 e ore 18, alla storica Capannina di Franceschi. Alberto Arbasino «È stato Edmondo Berselli a osservare nel suo laboratorio di idee e isolare per primo la formula scientifica del paradigma Arbasino: «In Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di “bella promessa” a quella di “solito stronzo“.
Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di “venerato maestro“.» Solo Arbasino è riuscito a fare di più: «Ossia il passaggio diretto dallo status di bella promessa a quello di venerato maestro». Per la motivazione del premio alla carriera ad Alberto Arbasino, nel quarantennale, la giuria ha scelto un passaggio del libro Venerati maestri di Edmondo Berselli, a cui il premio è intitolato. Un cortocircuito postumo con cui vogliamo anche ricordare Edmondo, che delle scelte di questa giuria è stato protagonista in vita.
Perché è stato proprio Berselli, partendo dalla sua cultura politologica a individuare meglio di tanti critici laureati la trama di una «commedia» satirica sotto la scrittura letteraria di Arbasino. C’è in Arbasino, dietro un accumulo sfrenato di cultura e erudizione, un’osservazione della realtà, elitaria, beffarda, sempre pronta a disimpegnarsi nell’ironia. Fino allo sbeffeggio. Nulla va preso sul serio, tranne l’impegno a non prendere sul serio alcunché. Un esempio citato da Berselli: «Il messaggio lo recapitano le poste, le istanze si presentano in pretura; quanto agli effetti, “validi” e “scontati” vanno depositati in banca.» La ferocia di Arbasino contro i luoghi comuni del giornalismo basso e delle letteratura alta, non è un capitolo separato della sua produzione letteraria, ma il falso bordone che accompagna ogni narrazione da Fratelli d’Italia a Marescialle e libertini, per citare a caso ma non troppo.
Per fare una citazione a proposito basta rileggere un libro recente, come La vita bassa, in cui Arbasino con una vis civile che si trova solo nei pamphlet dell’illuminismo, distrugge i vieti luoghi comuni di tutto il giornalismo impegnato all’italiana. «Fermate quella metafora» è il motto ripreso dal New Yorker di cui Arbasino ha fatto stemma della sua nobiltà culturale, emblema della sua battaglia quotidiana contro la stupidità intellettuale. Se poi ci aggiungiamo i libri di intervento esplicitamente civile, da Fantasmi italiani (1977) a Un paese senza (1980), di cui vale la pena ricordare la tensione ideale delle pagine sul rapimento di Moro, scopriamo un Arbasino polemista politico di caratura assoluta.
Arbasino in fondo è lo scrittore di un libro solo. È come se tutti i suoi libri, man mano riscritti di edizione in edizione, dovessero confluire raccolti in un solo titolo. In questo senso Fratelli d’Italia può essere letto non solo come autobiografia del paese, ma soprattutto come la nostra «commedia», affatto divina, in cui ci troviamo tutti raffigurati, autentica rappresentazione del male italiano. Come prima di lui aveva saputo fare solo Leopardi. E non possiamo trascurare il genius loci della nostra città che ha fatto ambientare ad Arbasino a Forte dei Marmi il suo primo libro, le Piccole vacanze (1957), ritratto dal vero di un gruppo di giovani della seconda metà degli anni Cinquanta, quando ancora non c’erano manco i Beatles.
Che Arbasino lo scrittore di questa Italia, dai Cinquanta a oggi, lo dice anche la Treccani, che gli ha dedicato un ritratto biografico che vale la pena riportare qui per intero. Arbasino, Alberto Scrittore, giornalista e critico italiano (n. Voghera, 1930). Di formazione giuridica, negli anni Sessanta aderì alla neoavanguardia (Gruppo 63), dando inizio a una feconda carriera letteraria come romanziere, saggista e poeta e improntando tutte le sue opere di un profondo e costante impegno civile.
Assiduo collaboratore di importanti quotidiani e periodici, è anche valente critico teatrale e musicale. Dopo gli studi giuridici, ha svolto attività pubblicistica su giornali e riviste di cultura (Il Verri, Quindici, Corriere, Repubblica). Ha aderito al "Gruppo 63", incarnandone l'anima più europea e interpretandone le parole d'ordine sulla falsariga del proprio raffinato dilettantismo (come critico si interessa di musica, di teatro, di cinema, di costume). Mentre il narratore (Le piccole vacanze, 1957; Fratelli d'Italia, 1963; Super-Eliogabalo, 1969) si esaurisce nella scoperta di un sottomondo borghese che chiede solo di essere aggiornato (tra le varie riscritture ricordiamo quella di Fratelli d'Italia, 1976 e 1993), il saggista è troppo colto e duttile per limitarsi al terrorismo culturale della neoavanguardia (Certi romanzi, 1964; La maleducazione teatrale, 1966; Off-Off, 1968); riesce a essere critico penetrante e sapido ritrattista (Sessanta posizioni, 1971); esplora infine uno spazio letterario che non è né romanzesco né saggistico: In questo stato, 1978; Un paese senza, 1980, quasi un controcanto alla sua attività politica come deputato per il PRI (1983-87).
Ha pubblicato una raccolta di poesie (Matinée, 1983). Tra le sue opere più recenti: Parigi o cara (1995); Lettere da Londra (1997), tra viaggi e letteratura; Passeggiando tra i draghi addormentati (1997), titolo con cui pubblica un reportage per la Repubblica in Birmania; Paesaggi italiani con zombi (1998), un saggio critico sull'Italia contemporanea; Le muse a Los Angeles (2000); Rap! (2001) e Rap 2 (2002), raccolta di composizioni poetiche satiriche; Marescialle e libertini (2004), raccolta di memorie musicali; Dall'Ellade a Bisanzio (2006); L'ingegnere in blu (2008), volume che chiude una serie dedicata a C.E.
Gadda; La vita bassa (2008), riflessioni sulla società contemporanea; il testo autobiografico America amore (2011); Pensieri selvaggi a Buenos Aires (2012). ALTAN Scrive Ezio Mauro: ”Non è soltanto il canone inverso la ragione del successo strepitoso di Altan, il vero editorialista principe di "Repubblica", l'uomo che fotografa la realtà italiana più di uno studioso. Il segreto è oltre la fotografia del reale: è nella capacità misteriosa di rivelarlo. Altan infatti svela il senso nascosto delle cose, la realtà riposta in una dimensione più intima, non visibile ad occhio nudo, inarrivabile con le scienze politologiche o sociologiche.
Quel significato forte e ultimo, sta nella congiunzione tra la dimensione ridotta del singolo personaggio e il Paese, con la vicenda pubblica che ci avvolge e ci circonda come una cornice di cui sappiamo e dobbiamo tener conto, e la figura disegnata da Altan che attraversa tutto questo, lo penetra e lo stravolge, fuoriuscendone per sproporzione. Uomini stanchi generalmente con il pullover e la camicia bianca, magari in maniche corte provati anche dal caldo, generali con unghie come artigli e il petto gonfio di decorazioni, bambine col fiocco in testa e la voglia di saggezza ("Il governo dice bugie, babbo"?), ("Governo è una parola grossa").
Poi pensionati intabarrati su una panchina d'autunno che tracciano bilanci ("merde siamo e merde resteremo"), neonati petulanti col ricciolo sul seggiolone, villeggianti in pantaloni corti, industriali ultraincravattati, padroni che celebrano il loro rito identitario puntuali e sorridenti, puntando con perizia l'ombrello. Oltre a Cipputi, naturalmente, che dall'angolo della sua macchina in officina guarda come un progenitore gli altri personaggi che si muovono intorno a lui, e sembra capire tutto, anche se appartiene ad un tempo passato”.
“Altan, non si lascia andare a caricature né ironizza sulle sue vittime ” - sottolinea Bruno Manfellotto - non segue le mode né inventa nuovi personaggi. Non stressa, non gonfia, non esagera le vicende: ce le mette sotto al naso così come sono e come noi possiamo vedere solo grazie a lui. Altan non inventa battute, non fa letteratura ma gioca amaramente prendendo sul serio banalità, modi di dire, ogni comportamento stanco che affiori qua e là”. Leggendo Altan nessuno di noi può sperare di salvarsi, scappare, far finta di niente: e no, quelli lì siamo proprio noi.
Nudi, come il re della favola. E lui ce lo ricorda”. E aggiunge ancora Manfellotto: “Geniale. Lo dicono tutti, aggiungendo che non ha mai sbagliato un disegno. Certo che sì. Da anni, settimana dopo settimana, è il primo a dare il benvenuto a chi sfoglia l’Espresso: traccia la strada per tutti noi. Da anni, di tanto in tanto, ci saluta dalla prima pagina di Repubblica. E le azzecca tutte, appunto. Ben detto, ma qual è il segreto della sua freschezza, di questa eterna giovinezza mentale? Cosa ha di diverso? Semplice: lui è tutto quello che gli altri non sono.
Non per scelta razionale, ma perché è fatto così. Non si lascia andare a caricature né ironizza sulle sue vittime. Non segue le mode né inventa nuovi personaggi. Non stressa, non gonfia, non esagera le vicende: ce le mette sotto al naso così come sono e come noi possiamo vedere solo grazie a lui. I suoi uomini sono brutti, flaccidi e siedono in canotta davanti alla tv; le sue donne presidiano fornelli con grembiule e bigodini; i suoi vecchi sono dei sopravvissuti stanchi di vivere; perché per lui – e dunque per noi – non è il disegno che conta, ma la forza del dialogo e dell’osservazione.
Spesso, come l’ombrello insegna, è volutamente ripetitivo, forse per non illuderci, non sviarci, ma per inchiodarci alle nostre responsabilità. Ce l’ha con noi”. La Giuria del Premio Satira Politica è composta da Roberto Bernabò, Filippo Ceccarelli, Pasquale Chessa, Pino Corrias, Beppe Cottafavi, Massimo Gramellini, Bruno Manfellotto, Giovanni Nardi, Cinzia Bibolotti e Franco A. Calotti. Durante la cerimonia di premiazione verranno consegnati i premi ai vincitori delle sezioni letteratura, giornalismo, grafica, spettacolo, web, tesi di laurea.