Firenze, 4 maggio 2012 – Rallentamento e recessione. Sono le parole chiave dell’attuale contesto dell’economia mondiale ed italiana, che si riflette anche nella realtà toscana. Questo in sintesi il non confortante quadro disegnato da Unioncamere Toscana in occasione della Giornata dell’Economia 2012 sulla base di interviste realizzate fra marzo ed aprile a un campione di circa 1.500 imprese toscane rappresentative del tessuto economico regionale, al fine di coglierne performance ed aspettative, situazioni di criticità con riferimento alla gestione della liquidità e dell’accesso al credito, comportamenti e strategie messe in atto per far fronte alle nuove difficoltà che attraversano lo scenario macroeconomico. Quanto agli andamenti di mercato, gli indicatori delle imprese scontano una nuova ricaduta nei consuntivi relativi al 2011, la cui pesante eredità si riflette inoltre, anche a causa del crescente clima di incertezza, in aspettative per l’anno in corso in deciso peggioramento.
In dettaglio, solo l’8% delle imprese toscane sono riuscite a chiudere il 2011 con un incremento del volume d’affari (erano il 15% nel 2010). Si tratta di aziende per le maggior parte legate alla domanda estera e caratterizzate da segmenti d’offerta a più elevato valore aggiunto, come metalmeccanica e servizi avanzati alle imprese, ma rappresentano l’eccezione in un quadro di forte rallentamento. Il loro relativo successo è determinato, oltre che dalla maggiore capacità di intercettare una domanda estera più dinamica rispetto a quella interna, da fattori dimensionali ed organizzativi: le imprese maggiormente strutturate e le società di capitale vanno meglio anche nel contesto di crisi. La situazione di rallentamento generalizzato dell’economia determina un netto peggioramento del clima di aspettative, anche rispetto a quanto registrato dai dati di consuntivo.
La situazione prevista dalle imprese è addirittura peggiore rispetto al 2009, con un calo generalizzato e un livellamento verso il basso delle performance attese nei vari settori. Le conseguenze sono, da un lato, la propensione delle imprese a mantenere inalterati (o a ridurre) i listini ed a comprimere i margini, dall’altro la diminuzione degli investimenti e la riduzione degli addetti con la previsione di un saldo occupazionale complessivo negativo, soprattutto nella moda, nell’edilizia, nella meccanica e nel commercio. Nel contesto appena delineato, ad aggravarsi non è soltanto la situazione economica delle imprese, ma anche quella finanziaria e di gestione della liquidità, ulteriormente esasperata da condizioni di accesso al credito che si sono, nel frattempo, nuovamente inasprite. Le aziende devono relazionarsi a tempi di pagamento da parte dei clienti che si allungano, con dilazioni concesse da una quota crescente d’imprese (il 45% nel 2011), mentre non altrettanto accade sul fronte dei debiti commerciali.
Oltre ai fatturati, quindi, diventa problematica – lo afferma il 44 % degli imprenditori intervistati – la gestione dei flussi di pagamento in entrata ed in uscita. Particolarmente accentuate si annunciano le difficoltà delle imprese dell’edilizia (dove ben il 64% dei casi registra una evoluzione sfavorevole della liquidità aziendale), di quelle artigiane (57%), di quelle prevalentemente subfornitrici (46%). Le esigenze derivanti dalla gestione della liquidità e del capitale circolante sono inoltre le principali motivazioni che portano le imprese a ricorrere all’indebitamento bancario (il 54% dei casi). D’altro canto il finanziamento presso gli istituti bancari è un percorso difficile, e l’accesso al credito è critico per il 34% delle imprese, un dato in decisa crescita rispetto alla rilevazione dello scorso anno (20%).
La principale causa sembra riconducibile a forme di vero e proprio razionamento del credito concesso dagli istituti bancari (segnalata dall’80% di coloro che hanno evidenziato un peggioramento dell’accesso al credito, era al 64% nella precedente indagine), ma il balzo maggiore riguarda la maggiore onerosità in conseguenza di tassi di interesse passivi più elevati (passata dal 50% al 77%). Per quanto concerne comportamenti e strategie delle imprese, per la prima volta da quando è stata avviata l’indagine (a fine 2008), si osserva un impoverimento delle strategie poste in essere dalle imprese, una minor capacità di reazione tanto sul fronte dei comportamenti “difensivi” (razionalizzazione dei costi, diminuzione dei margini, abbandono di alcuni mercati, riduzione del personale, etc) che su quelli maggiormente “proattivi” e di riqualificazione dell’offerta (miglioramento della qualità, ricerca di nuovi sbocchi commerciali e di nuovi canali distributivi, ampliamento della gamma di offerta, adesione a reti, etc.), a causa di una situazione di sofferenza che, per molti, si protrae ormai dallo “scoppio” della crisi finanziaria.
In questa fase, il clima psicologico degli imprenditori toscani sembra dunque legato ad una forma di scoraggiamento e di ripiegamento su se stessi. Per chi reagisce si registra comunque un netto predominare dei comportamenti difensivi, guidati dalla ricerca di una maggiore efficienza gestionale (segnalati dal 62% degli imprenditori dei servizi), dalla compressione dei margini (56%) e dal perseguimento di una razionalizzazione dei costi di produzione (per il 49% dei settori produttori di beni).
Fra le misure maggiormente “aggressive”, invece, si segnala soprattutto il tentativo degli imprenditori di riposizionarsi verso segmenti di mercato caratterizzati da un miglioramento della qualità dei prodotti/servizi offerti (47%).