Il grande filosofo, Giorgio Agamben, interpreta il mito ancestrale della fanciulla evocato dai pastelli contemporanei dell’artista Monica Ferrando. Il volume comprende un'accurata selezione delle fonti sull'affascinante mito di Kore, fanciulla rapita da Ade, dio dell'oltretomba, che la portò negli inferi per sposarla contro la sua volontà, e identificata nel culto pagano come la dea responsabile dello scandirsi delle stagioni sulla terra. “La ragazza indicibile” unisce due tentativi paralleli di confrontarsi col mito di Persefone-Kore, cioè quello, fra i miti greci, che, per la sua intima connessione ai misteri eleusini, più si legava al silenzio (il termine “mistero” viene da una radice che significa “chiudere la bocca, ammutolire”).
Kore è l’emblema di quella “indicibilità” che appartiene ai misteri rivelati agli iniziati, verità incomunicabili con proposizioni, con il logos, essa incarna la conoscenza suprema e la visione misterica, ed è quindi, con essa, “indicibile”. Kore è la “fanciulla divina” e l’indeterminatezza della sua figura tende ad annullare la soglia tra la donna e la bambina, la vergine e la madre, l’animale e l’umano, e tra quest’ultimo e il divino. I densi, quasi pompeiani pastelli di Monica Ferrando e il limpido testo di Giorgio Agamben cercano di far apparire questo silenzio in un fitto dialogo, in cui immagini e testo sembrano darsi e, insieme, togliersi a vicenda la parola. La storia, infera e, insieme, solare di Kore, lo stupro e il rapimento nell’Ade, la ricerca instancabile di Demetra, il riso osceno di Baubo, la fondazione dei misteri di Eleusi sono interrogati nel loro significato e, nello stesso tempo, evocati allo sguardo.
E, alla fine, il mistero della “ragazza indicibile” non appare più come una dottrina segreta da tenere nascosta ai non iniziati, ma come una iniziazione alla vita stessa e alla sua assenza di mistero. BIOGRAFIE Giorgio Agamben si è dimesso dall’insegnamento di filosofia teoretica nell’Università italiana. Ha pubblicato un’ampia opera, tradotta in tutto il mondo, di cui ricordiamo Homo sacer (Einaudi, 1995), La comunità che viene (Bollati Boringhieri, 2001), Stato di eccezione (Bollati Boringhieri, 2003), Profanazioni (Nottetempo, 2005), Nudità (Nottetempo, 2009), Categorie italiane (Laterza, 2010). Monica Ferrando ha studiato filosofia e pittura a Torino e a Berlino.
Ha esordito nel 1992 a Mantova con una mostra dal titolo “Kore”. Una monografia dedicata alla sua opera è stata pubblicata da Moretti & Vitali nel 2000. Suoi lavori sono presenti al Landesmuseum di Gelsenkirchen, al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi e alla Pinacoteca Comunale d’Arte Contemporanea di Gaeta. Fra le mostre recenti, nel 2009, la personale “Un ramo d’oro” presso la Galleria Falteri di Firenze e le collettive “Lo sguardo e la visione” presso la Pinacoteca Comunale di Gaeta, “Pittori d’Italia” a Rimini e “Amici pittori” presso la Galleria Ceribelli di Bergamo. Ha recentemente curato l’edizione italiana di I nomi degli dei di Herman Usener e di Ercole al bivio di Erwin Panofsky.