Architetto, scultore e uomo di cultura a tutto tondo, Bartolomeo Berrecci da Pontassieve (1480-1537) fu ambasciatore del Rinascimento italiano in Polonia, dove operò dall’inizio del XVI secolo fino alla sua morte. La sua figura, pressoché sconosciuta in Italia, è finalmente oggetto di una pubblicazione che colma un vuoto nella bibliografia del nostro paese. Scritta da Leonardo Cappelletti, docente alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, arricchita da numerose fotografie e da un testo introduttivo della soprintendente al Polo Museale Fiorentino Cristina Acidini, la monografia è intitolata Bartolomeo Berrecci da Pontassieve.
Un genio del Rinascimento tra arte e filosofia (Polistampa, pp. 104, euro 12). Berrecci si formò a Firenze, dove frequentò la bottega di Giuliano da Sangallo. Intorno al 1506 si trasferì a Roma, dove conobbe Michelangelo e lavorò probabilmente alla rifinitura della tomba di Giulio II. Nel 1516, su invito del vescovo Jan Laski, si recò in Polonia. Là fece fortuna e acquisì un ingente patrimonio, mettendo in piedi un laboratorio di scultura in pietra insieme ad un gruppo di artisti italiani (tra questi Nicola Castiglione, Bernardino di Gianotis e Giovanni Cini).
Lavorò alla corte reale di Wawel, nella cui cattedrale realizzò tra il 1519 e il 1533 la cappella di Sigismondo I, considerata la più grande opera del Rinascimento italiano in Polonia. Oltre a questa Berecci fu incaricato, sempre a Wawel, della ricostruzione del castello. Lavorò inoltre in molte città polacche tra cui Niepolomice, Poznan e Tarrow. Morì nel 1537 a Cracovia, assassinato da un italiano.