Il Padiglione Italia della 54. Biennale di Venezia partecipa alle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia con il progetto curatoriale proposto da Vittorio Sgarbi che gli ha conferito una dimensione del tutto inconsueta, estendendolo a tutte le Regioni e a tutti gli Istituti di Cultura Italiani all’estero al fine di documentare lo stato dell’arte italiana contemporanea. Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci è stato scelto come una delle sedi toscane del Padiglione Italia – L’arte non è cosa nostra dove saranno esposti gli artisti del territorio.
Al Centro per l’arte contemporanea il Project room a cura di Vittorio Sgarbi, dal 14 luglio al 18 settembre 2011 (orari della mostra: tutti i giorni ore 16-23). Chiuso martedì e dall’ 8 al 21 agosto. Ingresso libero. Allestita nello spazio delle Project Room, la mostra presenterà i lavori degli artisti: Christian Balzano, Lorenzo Banci, Massimo Barzagli, Chiara Bettazzi, Michele Chiossi, Andrea Garuti, Gumdesign, Yonel Hidalgo Perez, Paolo Maione, Paolo Meoni, Silvio Palladino, Sandro Palmieri, Cristina Pancini, Virginia Panichi, Massimiliano Pelletti, Daniela Perego, Pieralli)(Favi, Marco Signorini, Paolo Ulian.
Una rappresentazione eterogenea del panorama artistico toscano da cui emerge lo specifico della regione: l’attenzione verso il paesaggio e la rielaborazione del linguaggio della tradizione. Fabrizio Corneli interviene al di fuori dagli spazi museali, sulla facciata dello stabilimento industriale Targetti a fronte dell’autostrada (via di Limite 27F, Campi Bisenzio) dove propone il l’installazione solare Augenblick, visibile in condizioni ottimali dalle 11.45 circa alle 12.15 di ogni giorno. Tra gli eventi collaterali della 54° Esposizione d’Arte della Biennale di Venezia, il curatore del Padiglione Italia, Vittorio Sgarbi, ha indicato tra i “Percorsi e soste del Padiglione Italia” in Toscana la raccolta di pietre d’Arno di Giovanni Pratesi, presentata per la prima volta in pubblico nella mostra “Ciottoli d’Arno” e l’esposizione “l’Andata al calvario secondo Antonio Maraini”, entrambe a cura della Fondazione Giovanni Pratesi.
Le mostre, entrambe nello spazio espositivo dell’ex Oratorio dello Spedale Serristori a Figline Valdarno (Fi), saranno aperte al pubblico da sabato 16 luglio a domenica 27 novembre 2011, tutti i fine settimana. Mercoledì 13 luglio, l’inaugurazione dalle ore 18.30. E’ la prima volta che Pratesi presenta in pubblico la sua straordinaria collezione di “Ciottoli d’Arno”, una selezione di ottocento pietre delle oltre duemila tagliate e delle diecimila raccolte nei renai dell’Arno e dei suoi affluenti, così come facevano anticamente i ricercatori dell'Opificio delle Pietre Dure, l'istituzione fiorentina fondata da Ferdinando I nel 1588, che le cercavano, sceglievano, tagliavano e utilizzavano per i celebri commessi di pietre dure.
Pratesi mosso dal desiderio di verificare se nel fiume Arno si potessero ancora trovare le pietre dure usate per il commesso fiorentino, ha iniziato a cercarle, trovando non solo quelle usate dalla Manifattura fiorentina come i Verdi d'Arno, il Lineato, il Tigrato, la Pietra Paesina, l'Alberese, il raro Diaspro d'Arno, ma anche altre non conosciute e non utilizzate dai manifattori come le Dendriti, le Lumachelle d'Arno, il Rosso e la breccia del Cesto, oltre a altre specie di straordinaria bellezza e di grande interesse per la ricerca scientifica.
“Con l'aiuto prezioso di Ernesto Tucciarelli che per anni ha insegnato al laboratorio dei lapidei dell'Opificio - racconta Giovanni Pratesi - iniziammo i tagli, la selezione e la lucidatura. Con emozione profonda assistevo all'apertura di ogni ciottolo: molte le delusioni, ma ogni tanto appariva una bella pietra con colori vivaci o tenui ben amalgamati o con disegni di sorprendente modernità. Certe notti, per l’ansia di aprirli, non riuscivo a prendere sonno”. “Fra i dotti del nostro tempo Raniero Gnoli, colto e saggio, fra Oriente e Occidente, ha raccolto e studiato tutte le pietre preziose dell’antica Roma, classificate nel suo celebre Marmora romana.
Pensavo che non si potesse fare di più, scrive Vittorio Sgarbi nel saggio in catalogo - e invece con straordinario stupore un giorno, arrivato a Figline Valdarno, nella sacrestia del ritrovato Oratorio dello Spedale Serristori ho visto, bene ordinate in semplici vetrine, le pietre più rare e delle più varie forme, con i più mutevoli disegni, i più capricciosi ghiribizzi, infinitamente diverse, talora speculari. Una grande e ricca collezione”. La raccolta di ciottoli d’Arno di Pratesi vuol essere un contributo alla storia del collezionismo di Naturalia.
Una collezione unica, non risultano, infatti, precedenti di maggiore rilievo, a prescindere dalla raccolta di Giovanni Targioni Tozzetti, formata da circa 9.000 ciottoli non tagliati e di provenienza eterogenea e dai pochi esemplari conservati all'Opificio delle Pietre Dure. Grazie alla segnalazione di Vittorio Sgarbi, che ricorda con questa mostra l'attività di promotore culturale svolta da Antonio Maraini nei diciotto anni durante i quali fu Segretario Generale della Biennale di Venezia, prosegue la mostra “l’Andata al calvario secondo Antonio Maraini”, sempre nello spazio espositivo dell’ex Oratorio dello Spedale Serristori a Figline Valdarno, a cura di Francesca Bardazzi.
L’esposizione presenta i quattordici modelli in gesso della Via Crucis di Antonio Maraini, artista e critico d’arte, padre di Fosco Maraini. I modelli furono realizzati da Maraini, nel 1925, per il ciclo di quattordici rilievi in pietra d’Arezzo, raffiguranti le Stazioni della Passione, per decorare le pareti della Cattedrale di San Giovanni a Rodi, in quel Dodecanneso che dal 1912 al 1947 fu colonia italiana. Passati dalla Cattedrale alla chiesa di San Francesco i rilievi furono collocati all’esterno subendo il degrado e l’erosione del tempo, che i modelli in gesso di notevoli proporzioni (cm 80x120) della collezione Pratesi non hanno mai conosciuto, divenendo in tal modo una testimonianza significativa dell’arte scultorea di soggetto religioso di Maraini.
In mostra, oltre ai modelli della Via Crucis, il gesso raffigurante la Pietà (h cm 220) realizzato dall’artista per il concorso del Monumento alla Madre Italiana, per la Basilica di Santa Croce a Firenze, a cui partecipò fra il 1922 e il 1924. Maraini fu tra i prescelti per la gara di secondo grado, vinta da Libero Andreotti.