“Ricordare le Foibe e la tragedia dell’esodo degli italiani dalle terre d’Istria, di Fiume e della Dalmazia non significa mettere in discussione i valori della Resistenza. La Resistenza è altro ed è un rischio che non corriamo, come più volte ha ricordato anche il presidente della Repubblica Azeglio Ciampi”. Lo aveva precisato ai giornalisti il presidente della Toscana Enrico Rossi, poco prima dell’inizio della seduta solenne del Consiglio Regionale dedicata stamani al ricordo della tragedia degli italiani, dei 350 mila esuli e di tutte le vittime (forse più di diecimila) delle Foibe sul finire della seconda Guerra Mondiale lungo il confine orientale .
Una tragedia che dal 2005, con una legge dello Stato dell’anno precedente, l’Italia ricorda ogni 10 febbraio. “Ricordare le Foibe – aveva sempre aggiunto ai giornalisti Enrico Rossi, poco prima di concludere la seduta solenne a Pa lazzo Panciatichi – vuol dire soffermarsi su un grande ferita, dopo lunghi e prolungati silenzi. Vuol dire esecrare tutte le stragi, di ogni tempo e in ogni luogo. Vuol dire richiamare ognuno ad una memoria condivisa. Significa aiutare i giovani alla costruzione di una coscienza più aperta al dialogo e che rifugga l’uso della violenza, le discriminazioni, l’intollerranza e ancor peggio le pulizie etniche”. “La tragedia delle Foibe fu un’operazione pianificata in cui confluirono interessi del nuovo stato yugoslavo, odio nazionalistico anti-italiano, contrapposizione ideologiche e vendette personali, all’interno di un clima da ‘resa dei conti’” ricorda subito dopo Rossi durante l’intervento in Consiglio regionale, richiamando la ricostruzione fatta poco prima da Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazi onale, storica associazione fondata nel 1891 a Trieste. “Ricordare le Foibe – aggiunge, rispondendo ad alcune polemiche – ha senso se diventa una totale esecrazione di tutte tutte le stragi e di tutte le violenze: quelle legate al nazismo e fascismo e quelle compiute da chi diceva di richiamarsi al movimento e ai valori comunisti.
In Toscana lo abbiamo fatto e continuamo a farlo, senza tentennamenti”. L’accoglienza di Livorno ai profughi istriani “Ma la storia dei profughi istriani ha molto da insegnare anche per quanto riguarda l’accoglienza e la solidarietà, oggi, verso chi arriva ed ha perso tutto” aggiunge in coda al suo intervento il presidente della Toscana. Rossi ricorda in particolare l’accoglienza che i profughi istriani ebbero nella città di Livorno, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. “Furono loro assegnate case popolari, furono aiutati con sussidi – spiega Rossi – a Livorno, come in molte altre parti d’Italia in quegli anni, c’erano sacche di povertà estrema.
Qualcuno si poteva sentire scippato di un sostegno di cui si riteneva più meritevole. Nella rossa Livorno e nella Toscana rossa i profughi avrebbero potuto essere etichettati come ex fascisti in fuga. Eppure mai si registrarono episodi di intolleranza”. “Tra il 1947 e il 1956 la città di Livorno accolse circa mille esuli dalmata-istriani, dando prova di grande solidarietà verso le vittime della persecuzione della Jugoslavia di Tito. E ciò avvenne in una città poverissima, dove il dare aiuto a cittadini non livornesi poteva apparire criticabile, e in una città ‘rossa’, dove gli italiani costretti all’esodo istriano erano guardati col sospetto d’essere fascisti.
Eppure non si registrò nessun atto di violenza e nessuna contestazione”. Rossi ha citato l’esempio di Livorno, “perché esso rappresenta in concreto lo spirito di convivenza civile che da sempre contraddistingue la Toscana”. “Ai giovani – ha aggiunto – dovremo porre questa riflessione, affinché, superata finalmente la stagione delle ideologie, si apra la stagione della speranza”. “Così come da qualche tempo si va tentando da troppe parti di negare la tragedia dei campi di sterminio nazisti, non è del tutto sopito il tentativo di taluni di negare quest’altra tragedia, quella degli italiani massacrati nelle foibe.
Noi siamo qui, in quest’aula, anche per contrastare questi tentativi: perché gli innocenti massacrati sono tutti uguali”. Così Alberto Monaci, presidente del Consiglio regionale, che con il suo intervento ha aperto la seduta solenne per il Giorno del ricordo. Una seduta dedicata a “uomini, donne, vecchi e bambini gettati nei crepacci spesso ancora vivi, destinati a un’agonia lunga e terribile, in mezzo ai corpi dei morti e dei vivi ancora per poco”. Gli italiani massacrati nelle foibe, in nome di “una vera e propria pulizia etnica”.
“Oggi – ha detto Monaci - ricordiamo gli italiani giustiziati nelle piazze e nelle strade perché italiani, e non solo quelli che avevano indossato la divisa fascista: ma anche i dirigenti dell’azione cattolica, gli azionisti, i laici e tutto quel mondo di esponenti collegati al Comitato di Liberazione Nazionale”. Una furia che travolse gli esuli giuliano-dalmati, vittime “della feroce repressione rimasta nascosta agli occhi e alla coscienza nazionale per decenni e per ragioni di “realismo politico”, perché il “regime comunista di Tito era considerato un baluardo verso il blocco comunista dell’Est”.
Per questo, ha ricordato il presidente, per sessant’anni “le vicende dolorose che hanno travolto la vita di tante famiglie sono state relegate ai cenacoli di politici e storici”, senza essere raccontate e quindi condannate. “Non è per sete di vendetta che ricordiamo la violenza liberticida e assassina che maturò nel gioco degli opposti nazionalismi e quindi nel regime comunista di Tito” ha poi precisato Monaci: ma per “ricacciare con fermezza ogni tentativo negazionista”.
E per riaffermare la cultura del rispetto e della convivenza, nell’ottica dei valori della nostra Costituzione. Il presidente ha quindi ringraziato la Provincia di Lucca che, quest’anno per la prima volta, ha partecipato alla seduta solenne del Giorno del ricordo. “Oggi che in Italia abbiamo posto fine ad un ingiustificabile silenzio e che siamo impegnati in Europa a riconoscere nella Slovenia un amichevole partner e nella Croazia un nuovo candidato all’ingresso nell’Unione, dobbiamo tuttavia ripetere con forza che, sia in seno al popolo italiano, sia nei rapporti tra i popoli, parte della riconciliazione, che fortemente vogliamo, è la verità.
E quello del Giorno del Ricordo è precisamente un solenne impegno al ristabilimento della verità”. Lo ha dichiarato il vicepresidente del Consiglio regionale, Roberto Benedetti, nel suo intervento alla seduta solenne del Consiglio regionale, dedicata alla memoria di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra. E’ stato l’avvocato Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega nazionale, la storica associazione per la difesa dell’italianità di Trieste e della Venezia Giulia, ad entrare nel merito di quelle vicende storiche, sottolineando che “non basta sapere, ma occorre capire perché, dare un senso a quella tragedia”.
“Non è stato un evento casuale, ma un’operazione con una regia ben precisa - ha affermato Albertini – Tito stava costruendo il suo stato nazionale ed il terrore era funzionale a questo disegno. Non solo per costringere gli italiani ad andare via, ma anche per tenere a bada le varie etnie, che si odiavano ferocemente fra loro”. Come spiegare gli oltre cinquant’anni di silenzio sulla più grande tragedia nella storia del nostro paese? La divisione del mondo in blocchi e la particolarità dello stato jugoslavo sicuramente hanno pesato non poco, ma, secondo Albertini, la spiegazione va ricercata “nell’oblio dell’idea di Patria” che ha segnato la storia recente della nostra Repubblica.
“Non si celebrano adeguatamente i 150 anni della nostra unità nazionale se non facciamo una riflessione anche su questi eventi – ha concluso – Una riflessione che ci farebbe sentire tutti più vicini. E’ nel ricordo delle tragedie che le famiglie ritrovano più facilmente la loro unità”. La seduta solenne si è chiusa con l’esecuzione dell’inno nazionale