Riserva Ducale, il vino più illustre di Ruffino, compie 80 anni: dal 1927, anno della prima vendemmia, al 2007, appena uscito, un ininterrotto percorso di qualità, che verrà festeggiato con varie iniziative in Italia e nel mondo lungo tutto il 2011. Correva l’anno 1927, anno della prima chiamata telefonica transatlantica fra Londra e New York, dell’uscita del film “Metropolis” di Fritz Lang e in pieno Proibizionismo negli Stati Uniti, quando in Ruffino, nel piccolo borgo di Pontassieve, alle porte di Firenze, si decise di dare un nome, Riserva Ducale appunto, al vino più esclusivo della casa, come omaggio al Duca d’Aosta che, fin dalla fine dell’Ottocento, lo aveva personalmente selezionato per le sue nobili libagioni: Riserva Ducale, la selezione del Duca. Quel vino, da subito - quando nella Toscana contadina fra le due guerre, vino significava semplice alimento, uve bianche e uve nere insieme, pigiatura coi piedi, energia per affrontare la giornata nei campi, fiaschi e damigiane - era stato pensato come un vino di qualità, per le occasioni speciali, da dimenticare in cantina per evolvere grazie al lento riposo, come omaggio per una terra che si intuì avere le potenzialità per raccontarsi al mondo grazie alla sua bellezza e alla bontà dei suoi vini: concetti rivoluzionari che sancirono la nascita di un mito.
Negli anni, la storia della Riserva Ducale si è intersecata con le pagine della nostra storia: molte bottiglie furono distrutte dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, quando le cantine di Pontassieve furono equivocate per la limitrofa stazione, altre, nel 1966, subirono i fanghi e le ire della Sieve e dell’Arno durante la grande alluvione di Firenze. Eppure, a inizio degli anni ’80 – anni contradditori per il vino toscano e italiano - Riserva Ducale imbandiva le tavole dei più prestigiosi ristoranti di tutto il mondo, in un crescendo culminato pochi anni fa nella proclamazione, secondo il sondaggio di una nota rivista americana, di vino rosso italiano più conosciuto nei ristoranti americani.
E oggi, assaggiare le vecchie annate, la 1955, la 1958, la 1985, la 1990, solo per citarne alcune, è un’emozione rara e una chiara testimonianza della continuità di Ruffino nel perpetrare la sua straordinaria tradizione, anno dopo anno, attraverso interpretazioni di volta in volta originali su una partitura ormai scritta nel tempo. Francesco Sorelli