di Lorenzo Picchi docente di Storia della Mafia alla Richmond University di Firenze Umberto Santino è il direttore del Centro di documentazione Antimafia di Palermo. Nelle settimane scorse ha partecipato alla presentazione, tenutasi nella sala consiliare del Comune di Greve in Chianti, della nuova edizione del volume Storia Del Movimento Antimafia, pubblicato da Editori Riuniti.
Le sue parole sono interessanti, perchè gettano nuova luce, oltre che sugli stereotipi più diffusi del fenomeno mafioso, sulle leggi approvate dagli ultimi governi, sulle responsabilità delle banche off shore sempre pronte ad accogliere gli ingenti capitali di provenienza mafiosa, ed infine su una certa antimafia di sistema.
Umberto Santino si è distinto nell'attività di documentazione scientifica sul fenomeno mafioso (attività alla quale non ha mai fatto mancare l'impegno militante), che è stata all'origine di numerose pubblicazioni: sempre lontano da accademici e circuito mediatico, ai quali Santino ha preferito il lavoro di qualità della documentazione e della ricerca.
Quali sono gli stereotipi più comunemente diffusi riguardo il fenomeno mafioso?
Le idee correnti più diffuse sono: la mafia come emergenza e fabbrica di omicidi (esiste quando spara, è un fenomeno di cui preoccuparsi quando uccide personaggi noti) e come antistato (dato che uccide anche poliziotti, magistrati, politici). All'estero forse lo stereotipo più diffuso è quello avallato da libri di successo come A man of honor del capomafia Joe Bonanno e Il padrino di Puzo e dai film di Coppola tratti da quel libro, cioè il mafioso come uomo d'onore, rispettoso della tradizione, che con il traffico di droghe si sarebbe trasformato in un comune criminale. Un altro stereotipo è che la mafia è una piovra universale, che c'è una sorta di supermafia planetaria, mentre in realtà ci sono vari gruppi di tipo mafioso ma non c'è la cupola (la direzione) mondiale.
Perchè questi stereotipi continuano a resistere? Quali sono a riguardo le responsabilità della grande informazione, sia in Italia che all'estero?
Perché coincidono con idee sedimentate nel tempo. E' facile da un punto di vista scientifico smontare gli stereotipi ma essi sono diffusi dai media, sia italiani che di altri Paesi, più interessati a diffondere miti che a fare informazione. Per i media stranieri la mafia è una specialità italiana assieme alla pizza e agli spaghetti. In Germania hanno scoperto la 'ndrangheta calabrese dopo il massacro di Duisburg del Ferragosto 2007, ma quanti si sono chiesti come mai le banche tedesche si sono mostrate ospitali per il denaro proveniente dal traffico di cocaina? Gli stereotipi sono presenti anche nella mente del legislatore.
La legge antimafia italiana del 1982, approvata dieci giorni dopo l'assassinio di Dalla Chiesa (il generale-prefetto noto anche all'estero per la sua lotta al terrorismo), si basa sullo stereotipo dell'emergenza: se non ci fosse stato quel delitto, che ha allarmato l'opinione pubblica, non ci sarebbe stata la legge. E anche altre leggi sono venute dopo le stragi in cui sono morti i magistrati Falcone, Morvillo, Borsellino e gli agenti di scorta. Di fronte a stereotipi così radicati e diffusi dai grandi media, i mezzi per comunicare analisi serie e documentate sono inadeguati, i circuiti editoriali e mediatici disponibili per veicolarle sono secondari se non marginali.
Molto spesso il fenomeno mafioso, in particolar modo dagli stranieri, è visto come un fenomeno di folklore, se non addirittura come qualcosa di positivo (molti studenti per esempio all'inizio del corso credono che la mafia sia qualcosa di “cool”, per usare il termine che usano loro). Perchè secondo te?
Perché l'immagine più diffusa raffigura il mafioso come una curiosità locale, tutto sommato un buon'uomo, attaccato alla famiglia, che rispetta le donne e i bambini, con un suo senso di giustizia, un uomo d'ordine e un benefattore o qualcosa del genere in una società premoderna. Credo che abbia contribuito a questa immagine il ruolo della mafia come forza conservatrice dell'ordine costituito. Ma anche gli stereotipi hanno una loro complessità: convive con il mafioso conservatore il mafioso-bandito ribelle che trova la sua icona nel bandito Giuliano, visto come esempio di banditismo sociale.
Banditismo e mafia non sono la stessa cosa; il primo, almeno fino a un certo punto, esprime il ribellismo primitivo degli strati popolari, prima di trovare il canale delle lotte contadine organizzate; la mafia è soprattutto fenomeno di classi dominanti. Ma i due fenomeni spesso si sovrappongono e sono visti in simbiosi. E il bandito, inizialmente ribelle, per ottenere l'impunità si mette al servizio dei padroni e della mafia, viene usato e gettato via. il bandito Giuliano non è un caso unico.
Negli ultimi venti anni in Italia si è assistito a un proliferare di leggi che hanno favorito la mafia, molte di questi votate sia dal governo Berlusconi che dal centro sinistra. Quali sono secondo le più gravi? Si può parlare in tal senso di politica che produce mafia?
Le leggi più gravi, a effetto crominogeno, sono le leggi ad personam di Berlusconi, perché ricalcano il modello mafioso della illegalità come risorsa e dell'impunità come status symbol. Un diretto effetto hanno i condoni, che oltre che legalizzare il passato ipotecano il futuro, invitando a ripetere gli abusi, e il cosiddetto scudo fiscale che consente il rientro parziale dei capitali illegalmente trasferiti all'estero mantenendo l'anonimato e con una modica tassazione. E gli attacchi continui ai magistrati di Berlusconi sono dei segnali graditissimi ai mafiosi.
Berlusconi privatizza le istituzioni e la sua politica è decisamente mafiogena. Poi si fa bello degli arresti dei mafiosi ma questi sono opera delle forze dell'ordine sempre più prive di mezzi e dei magistrati che quando indagano sul premier e condannano Dell'Utri, uno dei fondatori di Forza Itala, sono marchati come "toghe rosse" . ll centro sinistra ha la resposabilità di avere fatto ben poco, di avere accolto nella Commissione antimafia politici condannati ma non metterei sullo stesso piano Prodi e Berlusconi.
Quali sono le maggiori responsabilità dei governi nazionali in riferimento all'espansione globale delle mafie oggi?
Le responsabiltà non sono solo dei governi nazionali che stentano ad attuare la Convenzione sul crimine transnazionale approvata a Palermo nel dicembre del 2000, che prevede l'introduzione nelle singole legislazioni del reato di associazione a delinquere di tipo mafioso e delle leggi contro il riciclaggio del denaro sporco, ma soprattuto delle agenzie internazionali, come la Banca mondiale, il Fondo monetario, il WTO, l'organizzazione sul commercio, che allargano sempre di più gli squilibri territoriali e i divari sociali, per cui gran parte della popolazione del pianeta ha come unica, o principale, fonte di reddito l'attività illegale, per cui proliferano le mafie. Nelle periferie come fonti di reddito, nei centri con il riciclaggio del denaro sporco, approfittando della finanziarizzazione dell'economia che rende sempre più difficile distinguere tra capitali illegali e legali.
Recentemente il tuo centro ha fatto mandare una lettera di diffida a Saviano, che è per molti, sia in Italia che all'estero, un simbolo dell'antimafia. Quali sono i motivi della diffida e quali secondo te i limiti di Saviano dal punto di vista della documentazione scientifica dei suoi scritti?
Saviano nel libro La parola contro la camorra sostiene che il film I cento passi ha fatto riaprire il processo ai responsabili del delitto Impastato. Non è vero, i processi erano cominciati prima e le indagini sono state riaperte molto tempo prima, grazie all'impegno dei familiari di Peppino Impastato e del Centro. Avevamo scritto una lettera al quotidiano la Repubblica, pubblicata con un grosso taglio ma non c'è stata né una replica di Saviano né una rettifica al libro, per cui siamo ricorsi alla diffida all'editore per ristabilire la verità dei fatti. Saviano è diventato un mito grazie al successo del suo romanzo, a metà strada tra fiction e reportage.
Sulla camorra ci sono libri migliori e più documentati. La sua visione della camorra come Gomorra, una sorta di Male universale, contro cui si leva la Parola, intesa misticamente come Verbo salvifico, è molto lontana dalla mia visione che lega l'analisi rigorosa e documentata alla pratica dell'antimafia sociale. Sono poi lontanissimo dal suo ecumenismo politico e dal suo elogio per il ministro Maroni, il leghista-razzista che si attribuisce meriti nella lotta alle mafie che sono della polizia e della magistatura, certamente non suoi.
Se non si spezza il legame tra mafie e politica si potranno arrestare e condannare i mafiosi ma le mafie, soprattutto qelle che chiamo "borghesie mafiose" (professionisti, imprenditori, amministratori, politici, uomini delle istituzioni legati alle mafie) continueranno a riprodursi e prosperare.