Potremmo definirlo il caso ancora aperto, in cui gli operai continuano a ricevere solidarietà da parte delle Istituzioni ma non rinunciano a farsi sentire in ogni possibile ambito per poter dare una smossa allo stand by della Cassa integrazione che impone alle famiglie degli stessi di andare avanti con 800 euro al mese "Se non ci sono situazioni contingenti" ci spiegano, che comportano per alcuni buste paga anche attorno ai 500 euro, con figli a carico e coniuge disoccupato. "Un panorama nero nerissimo" continuano a dire aggiungendo "Siamo contenti delle belle parole ma adesso vorremmo i fatti". "Il punto essenziale da capire è la peculiarità del caso Seves - apre la conferenza stampaOrnella De Zordo del Gruppo UnAltracittà - ovvero un'azienda in attivo che accantona 10 milioni di euro nel 2008 ed 1 milione nel 2009, su tre totali, per la ricostruzione del Forno fusorio" "Sono però subentrati ai vecchi proprietari - continua De Zordo - tra i quali l'imprenditore Enrico Basso, due Istituti finanziari che non hanno interesse a mandare avanti Seves o migliorare la produzione, loro hanno bisogno della liquidità che otterrebbero dalla chiusura, che non costa nulla in termini economici a chi gestisce la ditta.
Noi ci aspettiamo che gli Enti chiamati in causa come Regione e Provincia o lo stesso Comune che hanno parlato senza prendere impegni, si diano una mossa verso risposte concrete e soprattutto soluzioni percorribili. Sono stati fatti tavoli tecnici senza tecnici interni all'Azienda e senza i referenti diretti ma con prestanome. Gli operai adesso sono ancora giovani per andare in pensione e questa situazione li ha spossati economicamente ma anche umanamente con prospettive di speranza sempre disattese" "L'ultimo colpo - conclude l'esponente politico - sarebbe la speculazione edilizia, tentata e fermata all'ultimo tuffo durante la legislatura comunale precedente in cui abbiamo bloccato la variante al piano strutturale che definiva l'area della Seves in trasformazione edilizia per farne un terreno potenzialmente residenziale" Ha preso la parola anche Leonardo Bolognini dell'Unità Sindacale di Base che ha ripetuto come lo stato della Cassa Integrazione sia assurdo per questa vicenda, un'aiuto che avrebbe dovuto chiedere il Sindacato e non la ditta stessa allo Stato, tanto più una Ditta in attivo con rimanenze di magazzino accantonate per scelta. "Sono stati fatti tavoli tecnici senza tecnici di Seves - spiega Bolognini - e mi domando che senso abbia avuto tutto questo, noi oggi abbiamo un tecnico che ci spiegherà un altro aspetto importante della vicenda.
Si parla di rifare il Forno - spiega l'ex responsabile della produzione Seves, ora in cassa integrazione - ma anche realizzandolo, con gli accordi stipulati, il piano industriale non avrebbe senso, si parla infatti di ripartire con una sola linea di produzione ed i costi sarebbero troppo alti, occorrono almeno due linee per ammortizzare i costi nello spazio dei 5 anni di attività che può garantire un Forno. Il risultato sarebbe - conclude il tecnico - di ottenere un prodotto dai costi raddoppiati che non troverebbe mercato" "L'attuale stato di cassa integrazione scadrà a febbraio 2011 - continua Bolognini - mentre le Finanziarie saranno attive su Seves sino a fine 2010, la domanda è presto elaborata; Cosa ne sarà degli operai?" Parlando con alcuni operai apprendiamo come il rapporto con l'imprenditore Basso fosse di quelli che non tradiscono la fiducia reciproca, un proprietario che teneva all'Azienda che se ne preoccupava, come nel caso delle prime notizie sui possibili lavori che avrebbero interessato l'area su cui sorge lo stabilimento, proponendo a suo tempo un piano di spostamento entro i 20 km per non perdere la produzione e gli operai. Alla domanda diretta: Come mai si sia arrivati ad essere in mano a delle Finanziarie, la risposta è che le aspettative della precedente proprietà sarebbero state del tutto diverse, ovvero di ottenere aiuto economico per rilanciare l'Azienda e non per andare verso una mesta dismissione. In ultima analisi sono stati esposti due mattoni, uno della produzione fiorentina ed uno proveniente dalla Repubblica Ceca per dare l'idea della differenza di qualità tra le due tipologie di lavorazione Antonio Lenoci