Firenze- «Quello che la Toscana ha fatto con le medicine complementari è un percorso che viene da lontano e ha consentito un processo di maturazione. Ora, per le medicine complementari la Toscana è diventata un punto di riferimento non solo nazionale, ma internazionale». L'assessore regionale al diritto alla salute Daniela Scaramuccia è intervenuta al convegno sull'"Approccio naturale alla salute del bambino", che si è tenuto nella Polveriera della Fortezza da Basso nell'ambito di Terra Futura.
L'assessore ha ricordato le tappe fondamentali di questo percorso, iniziato a metà degli anni '80, quando la Regione finanziò i primi corsi di agopuntura, e proseguito con l'inserimento delle medicine complementari (che allora si chiamavano alternative e successivamente non convenzionali) nel Piano Sanitario Regionale del 1996. Ora in Toscan a ci sono tre centri di riferimento regionali per le MC: Firenze per l'agopuntura e la medicina cinese, Lucca per l'omeopatia, Empoli per la fitoterapia; servizi di MC in tutte le Asl, 105 ambulatori pubblici di MC su tutto il territorio regionale.
«Quello che ha fatto la differenza in questi anni - ha detto - é stata la collaborazione, il fare sistema, l'integrazione. Ora la Rete Toscana di Medicina Integrata è una struttura del governo clinico del sistema sanitario toscano, e ha i suoi rappresentanti nel Consiglio Sanitario Regionale. In Toscana vogliamo garantire la libertà di scelta terapeutica per tutti i cittadini, ma contemporaenamente anche la necessità di proteggere il cittadino nelle proprie scelte di salute. Per esempio, la gestione del rischio clinico è applicata anche alle medicine complementari, ed esiste un servizio di fitovigilanza per gli eventi avversi».
Una recente indagine svolta dall'ARS, l'Agenzia Reg ionale di Sanità, ha accertato che per il 25% dei bambini toscani i genitori fanno ricorso a tecniche e rimedi "dolci". «Anche per i più piccoli il ricorso alle terapie naturali è una tendenza consolidata - osserva l'assssore - L'approccio alla salute del bambino è un tema assai delicato. E' motivo di grande soddisfazione per tutti il fatto che i genitori toscani possono usufruire, se lo desiderano, di servizi diffusi sul territorio e contattare gli oltre 100 ambulatori pubblici di medicina complementare del Servizio sanitario regionale, ma anche trovare nell'ospedale pediatrico Meyer, a cui è dedicata parte del convegno, un luogo dove si esercita la medicina occidentale ai più alti livelli professionali, tenendo conto anche e soprattutto della persona-bambino e del suo diritto a un luogo di cura rispettoso di tutti i suoi bisogni».
Daniela Scaramuccia ha infine ricordato il primo ospedale di medicina integrata di Pitigliano, che la Regione ha finanziato con un milione e 400.000 euro per i primi due anni di attività e che partirà dopo l'estate, e ha indicato tre elementi su cui lavorare: «La ricerca: è fondamentale assicurare una ricerca continua, che aumenti sempre l'efficacia delle nostre terapie; poi l'integrazione continua tra medicina tradizionale e medicine complementari; infine, quello che con termine inglese si definisce "empowerment", ma che io preferisco chiamare consapevolezza del paziente, che va costantemente accresciuta». Le esportazioni di armamenti si candidano a diventare i veri driver della ripresa economica del Bel Paese, con le banche che nel solo 2009 si sono ripartite operazioni di incasso da vendite dell'industria italiana di prodotti per la “sicurezza e difesa” pari a 3,79 miliardi di euro, su un totale di commesse autorizzate alle aziende pari a 4,9 miliardi che, con una crescita del 61% rispetto al 2008, rappresentano il record ventennale dell’export militare.
E questo è solo uno stralcio della sconcertante fotografia sullo stato di “salute” dell'Italia restituita dalla seconda giornata di Terra Futura, dove questa mattina è stato presentato in anteprima “Finanza e armamenti: le connessioni di un mercato globale”, il rapporto dell'Osservatorio sul Commercio di Armi (Os.C.Ar) di Ires Toscana (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali), vincitore di un bando finanziato dalla Fondazione culturale Responsabilità Etica. Un certosino lavoro di monitoraggio e analisi per capire il ruolo delle banche nelle esportazioni di armi, il portafoglio azionario dei principali fondi di investimento e fondi pensione italiani, le varie forme di finanziamento delle imprese a produzione militare con riferimento alle italiane quotate in borsa. «Testimone è chi fa quello che dice.
Non vogliamo prediche ma pratiche, ognuno deve fare la propria parte: i magistrati e i poliziotti, ma anche la società, gli enti, le associazioni e la politica. Con leggi che abbiano valori etici ed esempi di vita personale»: così Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, da poco sede della neoistituita Agenzia nazionale beni confiscati alle mafie. È tra i messaggi più potenti di questa seconda giornata di Terra Futura, mostra-convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità alla Fortezza da Basso a Firenze fino a domenica, che rilancia a gran voce il bisogno di una cultura forte e condivisa della legalità.
Cultura che già si traduce nei numerosi percorsi di lotta alle mafie, soprattutto nel Sud Italia. A Firenze l’Agenzia per le Onlus ha presentato il rapporto “Beni confiscati alle mafie, il potere dei segni”, che indica 100 buone pratiche di riutilizzo di beni in passato proprietà di famiglie mafiose. «La ricerca ha anche un valore simbolico, perché rappresenta un punto di svolta nella presa di coscienza della società» ha commentato Stefano Zamagni, economista e presidente dell’Agenzia.
«Emerge che la mafia oggi è un’organizzazione economica: usa i propri patrimoni per ottenere e riciclare soldi, non avendo accesso al credito. Ed è su questo piano che bisogna combattere. Ma non basta sottrarre i beni: bisogna riconvertirli per far sì che producano reddito per la cittadinanza, che altrimenti finirà con il rimpiangere la mafia. Dimostrare che c’è un’alternativa possibile: questa è una grande vittoria». Sulla stessa linea d’onda è Andrea Olivero, presidente del Forum del Terzo settore, secondo cui «a cedere più spazio alle mafie è stato il vuoto di società lasciato dai cittadini che hanno delegato ad altri la responsabilità della cosa pubblica.
Ma abbiamo tutti una responsabilità personale e collettiva». Per questo sono importanti le buone pratiche nate sui territori: «Tante cooperative dalla Calabria alla Sicilia operano con determinazione per dare risposte concrete ai bisogni delle persone. Realtà che hanno bisogno di tutela a partire dall’accesso ai beni confiscati e ai finanziamenti». E sono tante le storie di coraggio contro le mafie: di singoli cittadini, di associazioni. Tra le testimonianze quella di Rodolfo Guajana, imprenditore e presidente del Cda di Libero futuro (la prima associazione antiracket di Palermo).
La mafia gli ha raso al suolo un’attività durata un secolo: solo la concessione da parte della Regione Sicilia di una fabbrica fallita di sua proprietà gli ha consentito di ripartire. E c’è poi la bella storia della Cascina Caccia, un ex immobile della famiglia malavitosa Belfiore affidata al Gruppo Abele dopo la confisca: da due anni è diventata un luogo capace di ospitare momenti culturali e di fare memoria, ma anche di produrre valore economico. Ormai nota è l’attività della Antica Focacceria san Francesco, di cui è titolare Vincenzo Conticello, imprenditore che ha accusato pubblicamente i propri estorsori.
Il Consorzio Sociale GOEL ha come mission il cambiamento socioeconomico della Locride e della Calabria, e riconosce nell'impresa sociale il principale strumento di produzione di questo cambiamento. E ancora, la cooperativa sociale “Lavoro e non solo” che nasce dal progetto di Arci Sicilia: dal 2000 gestisce un’azienda agricola su terreni confiscati a Corleone e Monreale. Ha a disposizione 130 ettari di terreno, un edificio confiscato ai nipoti di Totò Riina, un laboratorio per il confezionamento di legumi. «Occorre dare al Paese un futuro con una nuova cultura che promuova la legalità» ha ribadito anche Maurizio Petriccioli, segretario confederale Cisl, che ha insistito anche sull’importanza di creare un’alternativa al lavoro irregolare, ulteriore fenomeno di illegalità : «Secondo l'Istat il lavoro irregolare supera il 22% dell'intera forza lavoro: un fenomeno che in Italia coinvolge oltre 4 milioni di persone e conta più di 1000 morti ogni anno». A margine del convegno è stato presentato in anteprima assoluta il capitolo dedicato all’Archeomafia di “Ecomafia 2010”, il rapporto annuale sui crimini ambientali, redatto da Legambiente e dal Comando Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri.
I dati riferiscono di un’intensa attività di contrasto ai crimini contro il patrimonio artistico nazionale, evidenziando come ormai la pratica del fare business sull’illegalità sia sempre più radicata nel sistema-Paese. 1.093 i furti di opere d’arte, 13.219 gli oggetti trafugati, 1.395 le persone indagate e 45 gli arresti. Fortunatamente parte del patrimonio trafugato viene recuperata: secondo il report sono tornati alla collettività 19.158 beni culturali, 14.596 reperti paleontologici, 55.586 archeologici e 90.766 oggetti d’arte.