C’è anche la loro firma nel lunghissimo elenco di adesioni – oltre 600 – raccolte fra studiosi, artisti, architetti, paesaggisti, ricercatori, educatori, storici dell’arte. Dove a esprime sorpresa e indignazione, tambureggiano da Idra, sono anche schiere di cittadini ‘comuni’, di fronte a un intervento che “minaccia, all’insaputa del mondo della cultura, di stravolgere la qualità ambientale, la vivibilità e l’accessibilità di un angolo pregiato del patrimonio mondiale Unesco, a pochi passi dal Ponte Vecchio, fra Santa Felicita, Boboli e Belvedere, perpetuando un modello turistico rivelatosi devastante e perdente”.
Quei 600 nomi saranno letti e scanditi venerdì mattina, a partire dalle 11, sotto Palazzo Vecchio, alternati agli interventi in presenza e da remoto di alcuni fra i maggiori esponenti della cultura fiorentina e nazionale, “che firmando il Manifesto Boboli-Belvedere hanno voluto indicare alla classe politica che amministra la città la strada maestra dell’urbanistica partecipata: quella che chiama i decisori a condividere democraticamente – prima di deliberare – i valori della conoscenza, del confronto, del dibattito pubblico”.
Oggi, come anticipazioni, due brevi contributi di Antonio Natali e Mario Bencivenni.
“Quelli che ci sono toccati sono giorni segnati da un conformismo culturale che svilisce ogni impresa. È un conformismo che si manifesta a principiare dal linguaggio, sempre più ingolfato di vocaboli e formule gergali inglesi, che s’assumono nella scriteriata convinzione di nobilitare i nostri pensieri. Un abuso che però non è più volgare di quello che si pratichi quando si ricorra a espressioni gergali italiane, adottate per richiamare l’attenzione dei più. “Sinergia”, “fare squadra”, “museo diffuso” sono parole diventate magiche: la loro evocazione par che basti a qualificare un progetto.
Non importa se il progetto sia una montatura oppure si rivelerà irrealizzabile o se poi sia davvero buono. Il tempo non ha più memoria: una promessa vale per quello che sùbito fa guadagnare in immagine; nessuno se ne ricorderà quando non sarà mantenuta. Al cospetto di quanto si preannuncia sulla Costa San Giorgio conviene riflettere sul significato di ‘museo diffuso’. Se ne parla tanto, ma a parlarne non si dura fatica. L’Italia è, sì, un museo diffuso, ma non basta astrattamente proclamarne l’esistenza.
Il ‘museo diffuso’ c’è pervenuto in eredità gratuita; è nostro compito salvaguardarlo, restituendogli al contempo valore culturale. Non ha confini il ‘museo diffuso’: è nei borghi come nelle città. Firenze ha l’obbligo di guardare ai suoi contorni senza tuttavia dimenticare mai che anche il suo patrimonio è parte del ‘museo diffuso’. Patrimonio ricco, ma molto fragile. Tener conto a Firenze della contemporaneità è vitale perché non si trasformi in una città sotto vuoto; la contemporaneità però ha da essere eticamente fondata.
Non può ledere la nobiltà del passato. Intervenire con pesantezza sulla Costa San Giorgio non è né storicamente né eticamente ammissibile. Tanto più se poi si ama sproloquiare di ‘museo diffuso’”.
Antonio NATALI, direttore degli Uffizi dal 2006 al 2015
“La ex caserma Vittorio Veneto ha accorpato due Conventi (S. Giorgio dello Spirito Santo e S. Girolamo - S. Francesco sulla Costa) che già alla metà del ‘500 si connotavano come una presenza importante sul Poggio de’ Magnoli o di Belvedere. Due episodi che con la loro posizione a cavaliere di questo importante colle creavano un’estensione del convento e della chiesa di S. Felicita verso la sommità del colle che sarebbe stata occupata dalla fortezza del Buontalenti. Insomma un asse di insediamenti conventuali a spartiacque fra il nuovo magnifico giardino di Boboli e l’asse viario di via dei Bardi e il fiume Arno.
Infatti parte dei loro vasti orti e giardini che si collegavano a quelli di S. Felicita erano andati ad incrementare il nuovo imponente giardino di Boboli. La presenza di questi orti puntualmente descritti negli inventari delle soppressioni documentano inoltre la presenza di acqua nel sottosuolo del colle e quindi della sua fragilità idrogeologica (non a caso una parte del lato verso via dei Bardi di fronte al Palazzo Capponi registrò una tremenda frana che distrusse con perdite di vita edifici e case posti nell’attuale giardino di lato a Costa Scarpuccia, e denominò con l’appellativo “delle rovinate” questo ramo dei Capponi).
I due conventi dopo l’ultima soppressione seguita all’Unità d’Italia, data la prossimità al Forte di Belvedere, furono uniti per ospitare una caserma militare e poi nel 1928 l’alloggiamento degli allievi della Scuola di Sanità Militare realizzata nell’ex Convento del Maglio. Destinazioni che sicuramente hanno modificato profondamente gli ex conventi, mantenendo però intatti l’organismo e la distribuzione originari. Ma perché allora non si è pensato sia nel piano strutturale che nel regolamento urbanistico di indicare per la dismissione di questo importante e storico contenitore destinazioni che impedissero ulteriori definitive distruzioni e che potessero creare le premesse di un suo restauro conservativo? Dall’esame degli atti di governo del territorio e della variante in corso di approvazione questo sembra essere completamente ignorato e trascurato”.
Mario BENCIVENNI, docente di Storia e teoria del Restauro dei Monumenti, Giardini Storici e Paesaggio, La Sapienza, Facoltà di Architettura, Roma