Martedì a Firenze convegno sul tema: “Le filiere cerealicole in Toscana: problematiche attuali e prospettive future”. L’iniziativa, a Palazzo Sacrati Strozzi, ha approfondito le problematiche attuali e le prospettive future delle principali filiere cerealicole regionali e ad esaminarne i principali punti di forza, quali la valorizzazione della tipicità, della qualità e della tracciabilità (ad esempio il Pane Toscano DOP), anche per valutare la possibilità di estendere tali esperienze positive ad altre filiere, in particolare a quella della pasta e ad altri prodotti derivati (prodotti da forno, ecc.).
Un reddito equo ed adeguato per gli agricoltori; totale sicurezza alimentare per i consumatori. Sono questi i due punti fermi della Cia Toscana per il futuro della cerealicoltura, dopo un 2016 disastroso per il grano e per le altre produzioni. E’ in sintesi quanto ha sottolineato Enrico Rabazzi, vicepresidente Cia Toscana, intervenendo al convegno “Le filiere cerealicole in Toscana”. Cia Toscana che è stata in prima linea nel 2016, anno della grande crisi dei cereali, organizzando, fra l’altro, le manifestazioni di piazza a Grosseto, nel mese di luglio, al casello A1 Valdichiana, nel mese di ottobre. Oggi in Toscana il grano viene pagato 19-20 euro al quintale, ovvero per ogni ettaro ad un agricoltore vanno 700-800 euro; a fronte di costi di produzione pari a 800-1000 euro.
«E’ chiaro – commenta Rabazzi – che prima di tutto serve un prezzo che consenta agli agricoltori di fare reddito. E’ un prezzo inaccettabile quello proposto dalla domanda del mercato, a queste condizioni non conviene produrre. Anche perché siamo sommersi da grani esteri, tutt’altro che sicuri dal punto di vista salutistico, che falsano il mercato, non rispettando i veti previsti dall’Italia nella fase dei processi produttivi, come ad esempio l’utilizzo del glifosate (prima della raccolta)». L’Italia produce 4,5 milioni di tonnellate di grano all’anno, a fronte di un consumo di oltre 6,5 tonnellate.
«Gran parte di questo – spiega Rabazzi – arriva dal Canada, ed è quello preferito dagli industriali italiani per produrre la pasta. Un grano che viene ‘tagliato’ con il nostro, con una quantità maggiore di proteine e tiene meglio la cottura. Ma dal punto di vista salutistico il nostro grano è più digeribili, la pasta viene ugualmente buona, e non contiene sostanze che potrebbero essere dannose per la nostra salute, come micotossine, aflatossine e glifosate. Dobbiamo prima ragionare dal punto di vista della salute del consumatore.
A Bruxelles devono ascoltarci e obbligare alla chiarezza in etichetta. Se una pasta è fatta con il 50% di grano estero, deve esserci scritto ed il consumatore lo deve sapere. Vogliamo controlli adeguati e confrontarsi con le stesse regole. Ci vuole la disponibilità di tutta la filiera; gli agricoltori potranno migliorare – anche grazie alla ricerca – la qualità del grano italiano. L’industria – conclude il vicepresidente Cia Toscana - deve fare la sua parte, e garantire con chiarezza il prodotto che porta sullo scaffale».
“Il 2016 è stato un anno nero per il settore – ha commentato ai margini del convegno Tulio Marcelli, Presidente di Coldiretti Toscana - caratterizzato dal crollo del prezzo del grano duro destinato alla pasta che è praticamente dimezzato (-43 per cento) mentre si è registrato un calo del 19 per cento per il grano tenero destinato alla panificazione. Tale situazione, parzialmente recuperata a fine anno, rischia di compromettere il futuro della cerealicoltura toscana”. “Una nota positiva per il comparto cerealicolo – dice Antonio De Concilio, Direttore di Coldiretti Toscana - è l’origine obbligatoria in etichetta del grano impiegato nella pasta come previsto nello schema di decreto condiviso dai Ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, attualmente al vaglio della Commissione Europea, che ci auguriamo riceva presto l’auspicato via libera”.
Dalla spiga di grano al pane, o alla pasta. Ma anche dall'orzo, dall'avena e dal mais agli alimenti per gli animali. Sono le filiere cerealicole, decisive per l'alimentazione di tutti, molto importanti per il comparto agro-alimentare toscano: basti pensare nella nostra regione le aziende interessate sono 17.000 e che ai cereali sono destinati oltre 160.000 ettari di superficie coltivata. La cerealicoltura è uno dei pilastri dell'agricoltura regionale e anche dell'industria agro-alimentare. La superficie coltivata (circa 160.000 ettari, gran parte dei quali nelle province di Siena e Grosseto, seguite da Pisa e Arezzo) rappresenta il 5,5% del totale nazionale, e sono ben 17.000 le aziende interessate di cui circa 600 interamente biologiche.
Tra i cereali prodotti al primo posto c'è il frumento duro (cui sono dedicate oltre 86.000 ettari, oltre metà delle superfici), seguito da frumento tenero (oltre 20.00 ettari), orzo (18.000), mais (16.000), avena (10.000), e quindi sorgo, riso e segale. Ma l'importanza delle colture va anche oltre l'aspetto agricolo : il settore svolge un ruolo assai rilevante anche per le le politiche ambientali, nella valorizzazione del paesaggio toscano (basti pensare alla Val d'Orcia) e nella difesa idrogeologica del territorio. Accanto alle colture, nella costituzione delle filiere cerealicole toscane, entrano poi in gioco molti altri soggetti che si collocano sia a monte delle aziende agricole stesse (ditte sementiere, contoterzisti, fornitori di mezzi tecnici), che a valle: gli impianti di raccolta e stoccaggio delle materie prime (sono 119,per una capacità complessiva di quasi 500.000 tonnellate), i molini (3 impianti specializzati nella molitura del frumento duro più un elevato numero di imprese di medio-piccola dimensione che operano nella molitura del frumento tenero), i pastifici (10 di dimensioni medio-piccole che comunque si approvvigionano anche fuori regione o all'estero), i panifici (oltre 1.200 i panificatori toscani, industriali o artigianali, molti dei quali di piccole o piccolissime dimensioni), e infine i mangimifici.