Che cosa fa la differenza tra un campione e un giocatore normale? La classe, senza dubbio, il talento, i trofei vinti, ma questi sono ingredienti che possono non bastare. Perché puoi anche essere un fenomeno in mezzo al campo, ma perderti quando i riflettori dello stadio si spengono e si accendono quelli della fama, della gloria facile, delle amicizie sbagliate. E puoi cadere da quelle altezze e non avere poi la capacità per rialzarti, per rimettere sullo stesso binario il campione e l’uomo, il talento e la responsabilità che questo comporta.
Tutto questo e molto di più è Adrian Mutu, campione indiscutibile, arrivato giovanissimo in Italia dalla provincia sperduta della Romania con le stimmate del predestinato, l’erede di Hagi consacrato nella provincia italiana a suon di gol e giocate sopraffine e poi caduto nella polvere di una Londra che doveva essere un sogno ed è stata un incubo. Un campione che si è rialzato più forte di prima, tornato in Italia grazie a Luciano Moggi, che di lì a poco sarebbe finito nel fango di Calciopoli ma che non ha mai dubitato delle potenzialità di «Adi».
Un campione che, per strani incroci che solo il destino può architettare, sarebbe diventato il Fenomeno con la effe maiuscola arrivando a Firenze grazie alla caduta in serie B dell’odiata (dai fiorentini) Juventus, riabbracciando il suo «maestro di vita» Cesare Prandelli. La storia di Mutu, Briliantul in patria, assomiglia molto a una parabola dei giorni nostri: non una storia di redenzione, ma un percorso di maturazione di un uomo che è riuscito a riprendersi una vita e una carriera che rischiavano di sfuggirgli per sempre. COME NESSUNO Adrian Mutu, la consacrazione di un Fenomeno. Limina Editore Matteo Morandini (1972), giornalista, lavora come addetto stampa presso il Consiglio Regionale della Toscana.
Vive a Firenze.