“Berlusconi prepara l'attacco al centro”. E' questo il titolo che oggi, sabato 16 maggio, domina pagina 15 del quotidiano la Stampa e che non lascia molti dubbi sull'ottimismo con cui il centrodestra (Pdl e Lega) si stanno avvicinando alla prossima tornata elettorale.
“Il colpo grosso è a Firenze” si legge sul quotidiano diretto da Calabresi che poi prosegue: “Nel capoluogo toscano il candidato della sinistra ha sempre vinto le comunali al primo turno (a dire il vero 5 anni fa proprio Domenici fu costretto al ballottaggio da Domenico Valentino; ndr).
Adesso le cose stanno cambiando a favore del Pdl grazie alla guerra dei Democratici. Una guerra cominciata alle primarie e che vede oggi Lapo Pistelli, deputato e responsabile Esteri del partito, violentemente contro il sindaco uscente Leonardo Domenici, candidato alle Europee. 'Non voterò mai una persona che non ama la funzione per la quale si candida', è stata la sciabolata dell'ex margheritino Lapo all'ex Ds Leonardo. 'Abbassiamo i toni, per favore – implora il giovane candidato del Pd Matteo Renzi – vogliamo forse perdere il Comune di Firenze?”
Già, perché come prosegue l'articolo “a godere è l'avversario Giovanni Galli.
L'ex portiere del Milan e della Fiorentina non sta nella pelle perché da alcuni giorni ha saputo che Berlusconi ha deciso di metterci la faccia a Firenze. Il premier dovrebbe arrivare nel capoluogo toscano alla fine del mese, forse il 29 o il 30 maggio. 'Sono felice. Il presidente ha detto che ci crede alla mia vittoria', confida Galli”.
E come dargli torto. Anche i numeri dati ieri da Sky Tg24 (relativi però alle Europee e quindi da leggere con tutti i 'distinguo' del caso) parlano di un Pdl stabile e di una Lega in crescita.
Mentre il Pd è costretto a registrare l'ennesima lieve flessione della sua seppur giovane storia (con Udc e le sinistre in ascesa).
Come pronosticato dalla Stampa, certo non giova a Renzi assistere allo scontro fra Pistelli e Domenici.
Uno scontro che finisce inevitabilmente per tirarlo nel mezzo e che ha una data d'inizio ben precisa: 13 maggio 2009, ore 10:34, quando il deputato, riferendosi alle scelte che farà il 6 e 7 giugno prossimi, scrive sul suo blog: “Voterò con convinzione il capolista David Sassoli, e non per semplice disciplina sul capolista.
David è una persona di grande valore, sia umano, che professionale e politico. Non solo dunque un volto noto. E’ nato a Firenze, ha fatto politica da ragazzo, ha smesso per dedicarsi al giornalismo, fa oggi una nuova scelta di vita. Merita fiducia per la sua preparazione e per la sua motivazione”.
Poi: “Più complicata la scelta sulle due residue preferenze. La mia prima indicazione è senz’altro per Monica Giuntini, europarlamentare toscana uscente, che ha dimostrato un grande impegno nel tempo residuo del suo mandato.
In modo analogo, raccomando Catiuscia Marini, altra europarlamentare uscente, stavolta umbra, che è entrata in carica quando assieme a Nicola Zingaretti abbiamo lasciato Bruxelles nel 2008. Due voti per due donne dunque”.
Alea iacta est
Minaccia di stoppare la propria corsa da parte del quasi ex inquilino di Palazzo Vecchio, coinvolgimento del segretario Dario Franceschini (chissà poi cosa avrà pensato l'uomo di Ferrara ricordando che il suo primo grattacapo una volta succeduto a Veltroni aveva avuto inizio proprio a Firenze, quando il vincitore delle primarie lo definì “vicedisastro”) e quella dichiarazione alla conclusione dell'intervista rilasciata ieri al Riformista: “Pistelli non è 'il problema', ma il sintomo di una malattia.
Il suo era un attacco politico a cui ho risposto sollevando una questione politica. E comunque, la telefonata chiarificatrice che ho ricevuto dal segretario mi ha fatto piacere...”.
Ma la discussione soffermandosi su Firenze non poteva non finire per coinvolgere quel Matteo Renzi che solo pochi mesi aveva superato Lapo Pistelli alle primarie (40,52% con 15.104 voti espressi a favore del presidente della Provincia contro il 26,91% e 10.031 voti per Pistelli).
“Parliamo perciò oggi di Firenze.
E’ per queste ragioni che ho letto con molta attenzione l’ampio programma del candidato sindaco del centrosinistra per Firenze e lo sforzo che in esso è contenuto di conciliare l’elaborazione compiuta l’anno scorso dal Partito Democratico e i 100 punti in 100 giorni annunciati durante la campagna per le primarie”, scrive il responsabile Esteri del partito.
Un programma che viene giudicato un “prodotto buono ma a due facce”, che ha al suo interno quelli che il deputato definisce “silenzi” e “vuoti”, “relativi in particolar modo al nodo delicato ma strategico dell’urbanistica, alle molte trasformazioni infrastrutturali avvenute o in corso in questi anni e ai mezzi finanziari per realizzare i programmi”.
E, prima di bocciare il proliferare di liste civiche a sostegno del candidato di centrosinistra (“altrimenti ci potevamo tenere l’Unione con i suoi dodici partiti invece di fare il Pd”), conclude il post con queste parole: “Il programma ripropone e rappresenta il culmine del dibattito sul tema continuità/discontinuità che è stato - comunque la si pensi - magna pars della discussione della campagna primaria (pensate agli slogan “punto e a capo”, “facce nuove a palazzo vecchio”, “firenze merita di più” ecc.).
La continuità/discontinuità è un criterio applicabile alle politiche, alle facce che si candidano, ai metodi che si usano o si propongono, e dunque la discussione è tutt’altro che banale. Essa implica un giudizio sui dieci anni di governo, sulle persone che hanno incarnato questo sforzo, sul tipo di rapporto intessuto con la città. Non marketing bensì esercizio critico della ragione. Non strategia comunicativa di una stagione, da cambiare magari la stagione successiva, ma fondamento ragionato di un patto amministrativo di lunga durata.
Lo sa bene Renzi che nei mesi scorsi ha insistito molto, e con successo, sulla completa discontinuità: una scommessa dall’esito non scontato poiché, a scommettere troppo in quella direzione, si rischia pure di favorire chi si è proposto così discontinuo da stare direttamente all’opposizione. Trovare il punto di sintesi o l’equilibrio possibile era ed è il lavoro più difficile che tocca al Pd e ai due protagonisti, l’uscente e l’entrante. La gente, il popolo, gli elettori sono sufficientemente evoluti per comprendere se questo equilibrio è politico ed è vero o se si riduce ad una cerimonia dei sorrisi, di passaggio di consegne, che non risolve le differenze, che non si fa carico di spiegare ciò che è stato possibile e impossibile, che lascia un manipolo di assessori a lavorare a schiena curva fino all’ultimo giorno mentre ai piani alti da tempo si sono già impacchettati gli effetti personali.
E’ tutto qui il senso del giudizio di ieri. Questa è la realtà che non sfugge a chi vuol bene alla città. E non contano gli attestati di stima o di solidarietà personale. Serve spiegare una realtà che oggi si traduce in un’offerta politica contraddittoria, il discontinuatore a Palazzo Vecchio, il discontinuato a Strasburgo; serve una coerenza da offrire a chi ha votato ieri e vuole votare oggi il Pd e la sua coalizione; serve il profilo di chi innova ma si fa carico di un’eredità. Questo era ed è il difficile compito richiesto al candidato, un compito che non si liquida con un’alzata di spalle o con un comunicato stampa ma con una capacità di guida politica”.
Un candidato però, quello del centrosinistra, che rischia di doversi confrontare anche con i colleghi di partito oltre che con gli avversari (che sotto, sotto c'è da scommetterci fanno da spettatori compiaciuti).
Stefano Romagnoli