Salvare, garantire e valorizzare i prodotti di nicchia della Toscana, in particolare i prodotti tipici provenienti dalle piccole produzioni locali dalle norme troppo restrittive esistenti oggi nella nostra regione. Il gruppo regionale del Partito Democratico, attraverso una mozione che presto sarà all’ordine del giorno del Consiglio Regionale, invita la Giunta a prendere in considerazione una modifica della disciplina toscana sull’igiene dei prodotti di origine animale a beneficio dell’estensione dei mercati della produzione dei caseifici aziendali della nostra regione, dove si producono soprattutto formaggi come il marzolino e il pecorino toscano Dop.
Ad oggi la normativa toscana restringe il campo della vendita dei prodotti dei caseifici nel solo comune di residenza o nei comuni limitrofi alla piccola azienda produttrice. L’iniziativa, “Veleno o pecorino?”, è stata presentata in conferenza stampa stamattina presso la Sala Affreschi del Consiglio Regionale. Alla conferenza stampa sono intervenuti i consiglieri regionali del Partito Democratico, membri della commissione Agricoltura, Nicola Danti, primo firmatario della mozione, Virgilio Simonti, vice presidente della Seconda Commissione, Caterina Bini e Mauro Ricci.
All’iniziativa, durante la quale è stata presentato anche un buffet con degustazione dei pecorini toscani, hanno partecipato Fulvio Salvadori, presidente di Toscana Allevatori, Giuseppe Petracito, Presidente dell’Apa di Firenze, Renzo Malvezzi, direttore dell’Apa di Pistoia, Rolando Bellandi, assessore attività produttive Comunità Montana Media Valle, Ivo Poli, assessore Attività Produttive e agricoltura Comunità Montana Garfagnana, Graziano Tardelli, presidente Associazione allevatori Lucca, Vittorio Marcelli, assessore Agricoltura Comunità Montana della Lunigiana, Damiano Corrieri, presidente Associazione allevatori Pistoia e i direttori delle Associazioni allevatori di Pisa, Lucca, Massa, Pistoia, Firenze e Siena e gli allevatori delle diverse province toscane con i loro prodotti.
“Le norme toscane – ha detto Nicola Danti nel suo intervento - devono garantire le produzioni di nicchia.
La pastorizia rappresenta la maggior realtà zootecnica toscana con circa 550.000 capi allevati, in virtù di tali numeri la nostra regione occupa il quarto posto in Italia per popolazione ovicaprina. La pastorizia rappresenta, oltre che una attività produttiva di notevole valore economico, anche una importante garanzia di conservazione ambientale insistendo su ambiti territoriali marginali e difficilmente riconvertibili. Per questo credo che sia fondamentale un’apertura dei mercati anche verso tutta la provincia e le province limitrofe al comune in cui lavora il caseificio”.
“Molto e’ stato fatto in questi ultimi anni – spiega Fulvio Salvadori - in termini adeguamento delle aziende alle norme igienico sanitarie.
Tutto questo accompagnato da una forte attività promozionale ha innescato un circolo virtuoso che da un lato ha valorizzato i prodotti, il territorio, la cultura e le tradizioni locali, dall’altro ha incentivato un buon ricambio generazionale delle aziende agro pastorali con molti giovani che si sono dedicati a questa attività”.
“E’ stato dimostrato – aggiungono Virgilio Simonti, Caterina Bini e Mauro Ricci - grazie all’analisi di rischio, come la trasmissione di malattie infettive da produzioni tipiche regionali sia quasi inesistente.
Continuando a mettere in campo tutte le analisi affinché si identifichino i pericoli conosciuti o potenziali e i rischi della produzione del formaggio toscano, crediamo che l’ampliamento dei mercati sia necessario per permettere a queste piccole aziende di avere nuovi sbocchi di vendita e integrare il reddito salvando dei prodotti, apprezzati dal consumatore e richiesti nei migliori ristoranti della nostra regione”.
“E’ indubbio - conclude Salvadori - che abbiamo di fronte una filiera produttiva tanto importante quanto fragile .
L’applicazione indiscriminata della normativa attualmente vigente in materia, il cosiddetto “pacchetto igiene”; che prevede gli stessi adempimenti per caseifici industriali e per quelli a conduzione familiare, rischia seriamente di vanificare l’importante percorso compiuto fino ad ora, costringendo un elevato numero di allevatori a cessare l’attività”.