4/1/2007 firenze- Finalmente alla Pergola uno degli spettacoli più attesi della stagione. Preceduta da una tournée che conta già tre mesi di repliche e più di venti città incontrate, Claudia Cardinale diretta da Andrea Liberovici, porta in scena il suo secondo Tennessee Williams lo Zoo di vetro, dopo l’allestimento francese dello scorso anno de La dolce ala della giovinezza.
Felice coincidenza vede ancora nel Saloncino l’omaggio a Luchino Visconti, il maestro che la consacrò icona del cinema italiano, con la mostra fotografica dell’allestimento della Locandiera ideata da Maurizio Scaparro, che ha il merito invece del debutto in palcoscenico dell'attrice.
"E’ stato Scaparro a portarmi per la prima volta sulla scena teatrale. Prima di lui nemmeno Visconti e Strehler erano riusciti a convincermi – dichiarava Claudia Cardinale in occasione del debutto parigino de La Venexiana nel 2001 – La sua forza comunicativa, le sue intuizioni, la sua abilità nel trattare la materia teatrale hanno fatto sì che cominciasse una avventura nella quale mi sono totalmente immersa e dalla quale mi sono lasciata affascinare e coinvolgere."
Per lei Andrea Liberovici ha creato, attraverso video proiezioni ed una ricca "scenografia acustica", un percorso parallelo e contemporaneo all’azione scenica.
Un contrappunto evocativo audio-cinematografico della memoria dei personaggi, dei loro gesti, sussurri, sguardi che avvolge il divenire dello spettacolo.
"L’occasione di lavorare teatralmente con una straordinaria attrice di cinema come Claudia Cardinale, - sottolinea il regista - mi "obbliga" infatti ad approfondire la mia ricerca teatrale che, come chi conosce il mio lavoro sa, si nutre profondamente delle molteplicità espressive che le nuove "macchine teatrali" offrono e quindi suono, immagine e cinema."
Lo zoo di vetro è una pièce ambientata nel Sud degli Stati Uniti, in una terra trafitta dal sole, chiusa in sé e refrattaria a qualsiasi cambiamento.
Eppure, anche in questo Eden paradossale e aspro, si avverte la presenza dello spirito della guerra da poco conclusa che ancora aleggia sui campi di battaglia.
Lo stesso luogo evocato nel titolo, lo zoo, riunisce in sé le idee di protezione e prigionia, rimanda ad esseri vivi ma in gabbia, curati eppure schiavi.
Questo zoo, per di più, è di vetro: di un materiale fragile per natura, che rende la situazione ancora più beffarda.
E’ questo suo essere una metafora moderna ed eterna che dona all’opera di Tennessee Williams un valore extratemporale.
Tuttavia, Williams sceglie di collocare il proprio testo in una preciso spazio e in un preciso tempo: è in uno Stato del Sud, nell’epoca post-bellica, che si svolgono le vicende di una famiglia decaduta, i Wingfield.
Amanda ricorda di quando era una ragazza affascinante e sicura di sé e guarda con pietà alla sua attuale condizione: ora ha un figlio, Tom, ed una figlia zoppa e fragile, Laura.
E’ Laura a custodire con immensa cura la collezione di piccoli animali di vetro che dà il nome e il senso all’intero dramma.
Non è un caso che, fra tutti i suoi animali, Laura ami particolarmente un unicorno, simbolo dell’inconsistenza delle illusioni.
La madre Amanda tenta di contrastare questa fragilità con un tenace vitalismo e convince il figlio Tom ad invitare a pranzo uno dei suoi amici, sperando che dall’incontro con Laura possa nascere un rapporto, un dialogo, un’amicizia, qualcosa che provochi un cambiamento.
Tom invita Jim O’Conor, la personificazione dell’ideale di Laura, l’unicorno del suo zoo di vetro.
Jim è educato, cortese, impeccabile, insomma perfetto…e fidanzato già da tempo con una brava ragazza cattolica e irlandese di nome Betty.
A Laura non rimane che sorridere, allontanarsi e poi tornare per deporre nelle mani di Jim "un souvenir": il suo unicorno di vetro.
Gli dona così il pezzo più pregiato della sua collezione, come un ostaggio, un prigioniero che non tornerà più indietro.
L’AUTORE
Tennessee Williams è forse il più grande drammaturgo americano del ventesimo secolo.
Gli Stati Unti considerano un proprio patrimonio culturale i suoi personaggi fragili di fronte alla violenza del mondo e le sue storie sentimentali inevitabilmente votate alla catastrofe.
Tuttavia, Thomas Lainer Williams ha sempre vissuto sulla sua pelle la fragilità che descriveva.
Nato a Columbus (Mississippi) nel 1911, trascorre l’infanzia tra le nevrosi di sua madre e l’insofferenza di un padre conservatore e autoritario che tollera malvolentieri la debolezza quasi "femminile" di quel figlio per niente simile ai "sani e robusti ragazzi del Sud".
Dopo la laurea, conseguita all’University of Iowa, Williams inaugura un’esistenza girovaga sostenendosi con mille lavori saltuari.
Negli stessi anni, però, sotto l’influenza di Cechov, inizia a scrivere i primi racconti e le prime pièces.
A salvarlo da una situazione economica ormai disperata, arriva il grande successo de "Lo zoo di vetro", rappresentato per la prima volta a Cichago nel 1944. Gli anni successivi vedono una serie di grandi prove d’autore come "Un tram chiamato desiderio" (1947), "La rosa tatuata" (1951), "La gatta sul tetto che scotta" (1955) , che, seguite da fortunate trasposizioni cinematografiche, consacreranno Tennessee Williams come il drammaturgo statunitense più noto e rappresentato.
I lavori di Williams, attraverso un linguaggio intensamente emotivo, ruotano attorno ad alcuni temi cardine: la perdita dell’innocenza, la degradazione personale e collettiva, lo sfacelo fisico, la patologia sessuale, utilizzando il Sud degli Stati Uniti come terreno ideale per uno scontro di passioni.
Nel 1963 la vita privata e professionale di Tennesse Williams subisce un duro colpo: dopo la morte per cancro del suo compagno Frank Merlo, il drammaturgo cade in uno stato di prostrazione segnato dall’ipocondria, dall’alcol e dall’instabilità emotiva, dal quale riuscirà a liberarsi solo il 24 febbraio 1983 ingerendo un intero tubetto di barbiturici.