Estrema preoccupazione è stata espressa dalla Provincia di Firenze sulla nuova pratica enologica per l’invecchiamento dei vini. Rispondendo ad una domanda d’attualità dei Consiglieri Sottani e Biagini (Ds) e Giunti (La Margherita) l’assessore all’agricoltura Luigi Nigi ha ricordato in Consiglio provinciale come: “E’ vicino il via libera del comitato di gestione vino, in seno all’Unione Europea, per la pratica dell’invecchiamento mediante l’impiego di trucioli di legno. La Provincia di Firenze guarda con estrema preoccupazione a queste pratiche promosse in seno all’Unione Europea – ha spiegato Nigi – consci del rischio che al di là dei rilievi connessi all’aspetto qualitativo di questa pratica enologica, una insufficiente informazione al consumatore finale possa in definitiva creare un evidente svantaggio competitivo alle produzioni tradizionali rispetto a quelle ottenute con quello che si potrebbe definire un para invecchiamento, al fine quindi di tutelare e valorizzare tali aspetti assolutamente non secondari della produzione vinicola fiorentina.
La Provincia di Firenze, nel dichiararsi contraria all’impiego di qualsiasi pratica enologica che stravolga l’immagine e la qualità intrinseca di uno dei nostri prodotti di eccellenza del territorio, avvierà una iniziativa su questo tema, rivolto alle istituzioni, che all’opinione pubblica”. Sottani nella replica ha ricordato come: “Il Consiglio comunale di Pontassieve si è già espresso negativamente verso questa nuova pratica ed altri consigli comunali si aggiungeranno a breve. Questo tipo di pratiche enologiche possono creare svantaggio competitivo e creano confusione sia nelle aziende che nei consumatori che possono trovarsi ad avere vini siffatti.
Per migliorare la produzione del vino di qualità occorre che la Provincia attui il massimo sforzo possibile per essere a fianco dei quei produttori che ormai da diversi anni hanno scelto la strada impervia della qualità e che potrebbe essere estremamente danneggiato da pratiche enologiche così distruttive delle nostre tradizioni”.
Mai come in questi giorni si è tanto parlato di trucioli di legno, o chips, e ancora per qualche giorno ancora se ne parlerà, poi tutto cadrà nell’oblio, salva risvegliare grida e lai alla prossima intrusione di Unione Europea, americani, WTO e via dicendo nelle nostre questioni enologiche.
Federdoc ritiene che il ”problema trucioli” sia in realtà la punta di un iceberg enorme e che il “pericolo” andrebbe affrontato con un po’ di calma, sano pragmatismo e -perché no- un progetto di medio-lungo termine, diciamo della durata almeno di uno dei nostri vigneti:venti, trent’anni.
La battaglia tra favorevoli e contrari alle chips raccoglie sui due fronti tradizionalisti contrapposti ad innovatori, puristi che vorrebbero il vino solo nel legno (in barrique) e chi in nome delle economie di produzione preferisce il legno nel vino, chi è preoccupato dalla omologazione del gusto che certe tecnologie comportano e chi vorrebbe contrastare australiani, cileni ecc.
sul loro terreno producendo vini maliziosi, semplici e a buon mercato, tra chi crede che il lavoro di una azienda vitivinicola sia solo quello di produrre dei buoni vini e chi ben sa che il vero lavoro è venderlo.
Chi ha ragione? Per rispondere e programmare bisognerebbe conoscere ed una analisi, sia pure superficiale, del mercato mondiale ci può essere utile.
Questo mercato, già oggi probabilmente fortemente eccedentario in termini di produzione d’uva e di vini, vede un crescente successo di vini a basso prezzo, caratterizzati da un buon rapporto qualità prezzo, da una facile riconoscibilità legata spesso al solo nome della varietà o di grandi zone di produzione, un mercato che sta “banalizzando” il concetto di vino quale bevanda divina (ricordate Dioniso e Bacco?) elaborato in Europa attraverso i millenni per arrivare a renderlo una semplice merce, una commodity.
Un mercato però che sembra in grado di attrarre nuovi consumatori, di proporre il vino come bevanda quasi giornaliera contrapposta alla bottiglia aperta il giorno di festa, che risponde alla generalizzata crisi economica ed alle capacità di acquisto odierne dei consumatori. Il 70% dei dettaglianti americani intervistati nel 2003 per una ricerca economica sul vino indicava nel buon rapporto qualità/prezzo il motivo principale di acquisto, l’89% dei grossisti lo indicava come motivo principale per promuovere un vino.
In contrapposizione a questi vini ci siamo noi italiani ed europei con vini che pongono l’accento su tradizione, territorio, cultura, regole produttive ed enologiche severamente controllate. Una produzione che pur essendosi profondamente modificata negli ultimi decenni sembra non essere in grado in questi ultimi anni di rispondere alle attese dei consumatori relativamente alla dimensione quotidiana.
Lo scontro tra una visione mercantile del “fabbricare” un vino e quella più morale di valorizzare il territorio e la Denominazione con vini che gli si rispecchino e non corrano solo dietro alle mode sta giungendo all’apice.
Il “rumore dei trucioli” è l’avanguardia di nuove pratiche enologiche, di tecnologie che, come nel caso della spinning cone column, rischiano di fare del vino solo una somma di componenti chimiche riassemblate in cantina per assecondare il mercato. Quale la soluzione?
Non perdendo di vista la necessità di garantire successo e futuro a tutto il vigneto Italia crediamo sarebbe il caso di riadattare e rinforzare una strategia già delineata da decenni e che potrebbe portarci a competere su entrambi i mercati attuali pronti ad affermare la nostra leadership anche qualitativa non appena il mercato, inevitabilmente, troverà maggior quiete e “sete” di maggior qualità, desiderio di opporsi alla massificazione del gusto, non appena sui nuovi mercati l’Italia avrà raggiunto una migliore brand equity e i clienti cominceranno a richiedere maggiormente le “riserve” dei nostri vini.
Valorizzare la capacità competitiva delle IGT che già oggi possono schierare in etichetta il nome di vitigno, accompagnandolo da una zona di produzione ben più ampia di quella di una D.O. (senza compiere l’errore di targarli Italia IGT, il nostro Paese è infatti famoso per la propria ricchezza di varietà e gusti, chi potrebbe giustificare e comprendere un simile appiattimento? Chi crede veramente che il Pinot Grigio delle Tre Venezie sia uguale al Pinot Grigio della Sicilia?), con una apertura a nuove tecniche enologiche che garantisca l’accesso a tutte quelle che possono ridurre i costi e migliorare la competitività ma che rifiuti con forza quelle che possono essere scappatoie lungo il percorso vigna-uva-vino (le frazioni di vino dello spinning cone column sono una scorciatoia pericolosa ed oggettivamente inutile), maggiore creatività per packaging ed etichette salvaguardando però al massimo il diritto del consumatore a non essere ingannato (quindi no ad un barrel aged o barrel taste per chi segue la strada dei chips).
Dall’altra parte costruire intorno al sistema delle Denominazioni una politica di promozione più incisiva, valorizzando il loro contenuto etico di salvaguardia dell’ambiente (pensiamo a tutte le misure di riduzione di impatto ambientale già adottate ma anche al fatto che la stessa minor resa provoca un ovvia minor forzatura di concimazioni e lavorazioni) e del paesaggio.
Associando a questi vini le grandi storie che li caratterizzano, storie di uomini e donne, di popoli, di territori e di grandi sogni dei loro vignaioli.
Un Italia a due binari, con due viticolture ed enologie di cui quella delle IGT sia propedeutica a quella delle D.O., una capace di fare un vino comunque proveniente da un terriorio definito ma competitivo su ogni mercato, l’altra certamente non meno importante in termini quantitativi e di bilancio (le D.O. italiane rappresentano oggi il 25% della produzione nazionale con un valore all’ export ad oltre il 45%) ma capace di far sognare, di immedesimare il consumatore in un territorio, in una cultura, di farlo diventare “amico” del vignaiolo, di garantire quel quid che pochi altri al mondo possono oggi vantare.
In altre parole un sistema binario fatto di fantasia e di rigore.
La Francia che oggi si dibatte in una crisi ancora più profonda della nostra pensa di risolverla con un sistema a due binari come quello ricordato ma realizzato solo all’interno delle Denominazioni d’Origine (Proposta dell’INAO, sessione del 1° Giugno 2006) a nostro avviso rischia di travolgere così le Denominazioni realizzando una serie A ed una serie B che difficilmente potrano essere comprese e giustificate dai consumatori, molto meglio due categorie distinte, quasi due sport e due campionati all’interno di un paese.