Il dibattito che si è aperto su Nove da Firenze sul tema della partecipazione democratica ha trovato nuove sollecitazioni a seguito del convegno del 13 gennaio scorso al consiglio regionale. La prospettiva di una legge regionale che riconosca il principio della partecipazione democratica nei processi decisionali propri delle pubbliche amministrazioni locali apre però una serie di problemi e di complessità, di natura tecnico-giuridica e amministrativa, che rischia di spengere gli iniziali entusiasmi.
E’ una sfida che però bisogna raccogliere, poiché si tratta della questione sostanziale di fondo del nostro sistema democratico e che riguarda la necessità di decisioni pubbliche trasparenti, in un momento storico di crisi irreversibile dei partiti di massa, come ha scritto il Presidente di Comunicazione democratica e di peso decisionale insostenibile per gli amministratori a fronte di problemi da affrontare sempre più complessi. Molti dei processi di partecipazione democratica oggi trovano un riconoscimento normativo: osservando il percorso legislativo degli ultimi 15 anni si può dire che si sono ampliati i confini delle procedure concertative e consensuali.
Dai programmi di sviluppo locale, come i patti territoriali, alle politiche urbane, concretizzatesi nei P.R.U., nei P.R.U.S.S.T. e nei Contratti di quartiere, passando per i progetti di iniziativa comunitaria come URBAN fino ad arrivare ai piani di zona per gli interventi sociali, si tratta di esperienze di partenariato e condivisione di processi tra vari soggetti portatori di interesse: c’è da dire che in tutti questi casi le previsioni legislative hanno un contenuto generico, non indicano un metodo per realizzare l’inclusione di soggetti interessati. Ci sono poi i processi di partecipazione democratica non previsti da leggi.
Che si decida di organizzare un focus group o un forum su una certa questione, di convocare un’assemblea pubblica sulla realizzazione di un’opera pubblica o di tentare l’esperienza di un bilancio partecipativo, ci troviamo di fronte a processi informali non codificati e privi di valore giuridico. E’ in grado una legge regionale di attribuire valore legale a questi procedimenti? E’ molto difficile, per una serie di ostacoli giuridici fra i quali l’impossibilità di vincolare le autonomie locali, oggi garantite costituzionalmente, ad introdurre tali procedimenti inclusivi nei loro ordinamenti e la dubbia costituzionalità di una legge regionale che si mettesse a intervenire in materia di diritti essenziali, di competenza esclusiva dello Stato. La legge però potrebbe essere formulata in termini di riconoscimento e promozione delle forme di partecipazione e di incentivi a quelle amministrazioni che decidessero di recepire nei loro ordinamenti i procedimenti decisionali inclusivi.
Questo potrebbe essere un modo per spingere le tante amministrazioni locali ad attuare i principi della partecipazione, un po’ come ha fatto la L.R. 40/2001 che ha riconosciuto incentivi finanziari a quei Comuni che si mettevano insieme per gestire in forma associata servizi e funzioni. Un aspetto delicato che dovrebbe affrontare la legge è comunque quello di prendere in considerazione quei procedimenti che coinvolgano seriamente i cittadini interessati, attraverso l’attribuzione di un valore formale alle discussioni e ai pareri espressi.
Questo è il punto di maggiore difficoltà, che può essere garantito dalla presenza notarile di un funzionario dell’amministrazione. Come la L. 241/90 sul procedimento amministrativo prevede la figura fondamentale del responsabile del procedimento, funzionario che segue l’istruttoria e cura tutte le comunicazioni nei confronti del cittadino interessato, così in una qualsiasi forma di partecipazione sarebbe necessario un dirigente/funzionario regista del processo, che assicuri la regolarità formale dello stesso, ascolti i pareri espressi e li traduca in atti compatibili con i vincoli amministrativi. Questa soluzione non sarebbe lontana da forme strutturate di partecipazione esistenti all’estero - in Inghilterra ad esempio le giurie di cittadini esprimono dei pareri, con l’amministrazione competente che può anche non seguirli ma che comunque deve motivare le ragioni per cui non intende darvi seguito.
Sarebbe questa una buona base da cui partire.
Roberto Onorati
Segretario di Comunicazione Democratica