Firenze – Se è vero che il medico tratta da sempre il paziente come un suddito chiedendogli solo ubbidienza pronta e passiva, altrettanto vero è che questo modello di rapporto è ormai considerato superato dagli operatori più avveduti. E non semplicemente in ossequio al politically correct, quanto piuttosto perché riconoscere i diritti del paziente alla piena informazione sulla diagnosi, all’autonomia di scelta, alla condivisione della terapia, equivale spesso anche a un più efficace metodo di cura.
La Carta di Firenze, che un gruppo di operatori tra i più qualificati ha presentato stamani alla stampa in Palazzo Vecchio con l’assessore alla Sanità Graziano Cioni, propone dunque al mondo della medicina italiana una rivoluzione professionale insieme a un inedito modello di sviluppo.
Ed evocando la necessità di comportamenti assai diversi, chiama il medico a confrontarsi a 360 gradi col paziente sulla base di un linguaggio comprensibile, di disponibilità autentica, di partecipazione massima, di totale trasparenza. In altre parole, la Carta di Firenze è lo statuto di una relazione alla pari. Esemplare quanto stabilisce all’articolo 5: il tempo dedicato a informazione, comunicazione, relazione è “tempo di cura”.
Protagonisti della conferenza stampa Gianfranco Gensini, preside della Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze, Giulio Masotti, presidente della Società Europea di Geriatria, Sandro Spinsanti, bioeticista, direttore dell’Istituto Giano di Roma, Patrizia Olmi, responsabile del Dipartimento di radioterapia dell’Istituto Tumori di Milano, Ettore Vitali, responsabile del Dipartimento di Cardiologia e Cardiochirurgia dell’Ospedale Niguarda di Milano, e Antonio Panti, presidente dell’Ordine dei Medici di Firenze.
Coordinatrice Franca Porciani, giornalista medico-scientifico del Corriere della Sera.
Si tratta del gruppo interdisciplinare riunitosi più volte in questi mesi a Firenze, su iniziativa e con il supporto della Fondazione DEI-Onlus (Società Italiana di Farmacologia), per riflettere sulla delicata questione. Ne fanno anche parte, tra gli altri, Alessandro Mugelli e Pierangelo Geppetti (Università di Firenze), Marcello Tamburini, psicologo all’Istituto Tumori di Milano, Armando Santoro (Istituto Humanitas di Milano), Mariella Orsi Salvatori (Comitato Toscano di Bioetica), il magistrato milanese Amedeo Santosuosso, il fitoterapeuta a Empoli Fabio Firenzuoli.
Al progetto ha aderito Giuseppe Del Barone, presidente nazionale dell’Ordine dei Medici.
La Carta di Firenze contiene in tutto 15 articoli. Inizia dichiarando che la relazione tra operatore sanitario e paziente deve garantire a quest’ultimo autonomia di scelta; prosegue elencando contenuti, modi e tempi della comunicazione; insiste sul dovere del medico di rispettare la volontà del paziente; conclude ricordando che a comunicare si impara e che la materia deve dunque diventare parte del ciclo scolastico del professionista della sanità.
Ha scritto recentemente l’autorevole British Medical Journal che l’obiettivo è passare “dalla compliance alla concordance”, dall’adesione supina alla condivisione.
In Italia e tra gli operatori dei Paesi più avanzati si sta insomma radicando la convinzione che un buon medico non è tale se non comunica col paziente e che diagnosi e terapie che non lo coinvolgano non sono efficaci a prescindere.
Il medico padre-padrone come finora l’abbiamo conosciuto è dunque figura sempre meno accettabile e accettata, oltre che in evidente crisi di credibilità cui fanno da spia le diaspore crescenti verso terapie alternative. Non è che la gente le ritenga superiori, ma vi trova ascolto, attenzione e una disponibilità al dialogo che la sanità ufficiale non sa offrire.
Nessuno tra quanti hanno messo a punto la Carta di Firenze si fa illusioni circa la possibilità di tradurne in pratica le indicazioni in tempi brevi.
Comunque, sostengono, vale la pena mettersi al lavoro. Ricerche sul tema del Paziente informato realizzate anche in Inghilterra certificano, del resto, che il futuro della sanità in Europa richiede un salto di qualità delle politiche di informazione rivolte a cittadini e pazienti. Il motivo è più che evidente: una migliore divulgazione delle informazioni non può che portare alla scelta di cure più appropriate e a risultati più felici per i pazienti.