Modificare, con particolari farmaci, il DNA delle cellule neoplastiche, per renderle maggiormente riconoscibili dal sistema immunitario del paziente, permettendo così all’organismo di difendersi meglio contro il tumore. Questo, in sintesi, l’importante traguardo raggiunto dal gruppo di ricerca coordinato dal dottor Michele Maio, direttore dell’Immunoterapia Oncologica del policlinico senese Santa Maria alle Scotte, in collaborazione con il CRO di Aviano e l’ospedale San Raffaele di Milano e grazie anche ai finanziamenti dell’AIRC, della Fondazione Buzzi e della Fondazione Compagnia San Paolo di Torino.
“E’ un passo importante – spiega Maio – verso l’applicazione futura di una nuova categoria di farmaci, trasferendo così dal laboratorio alla clinica nuove possibilità terapeutiche. L’innovazione in oncologia è possibile solo grazie alla ricerca”. Lo studio, già pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Cancer Research, è strutturato in quattro punti fondamentali. “In una prima fase – illustra Maio – abbiamo clonato il tumore da un paziente con metastasi da melanoma.
Dopo aver realizzato colture cellulari a partire da singole cellule tumorali abbiamo evidenziato in queste colture una eterogeneità di espressione di particolari molecole (antigeni tumorali) che sono in grado di evocare una risposta immunitaria e che sono il bersaglio terapeutico di alcuni vaccini anti-tumorali attualmente in sperimentazione clinica”. E’ stato dimostrato quindi che all’interno del tumore esistono differenti tipi cellulari che possono ridurre l’efficacia terapeutica di alcuni vaccini anti-cancro.
“In una seconda fase perciò abbiamo identificato il meccanismo molecolare, a livello di DNA, responsabile di questa eterogeneità”. Sono stati quindi utilizzati dei farmaci ad hoc, detti agenti ipometilanti il DNA, che hanno la proprietà di modificare queste specifiche caratteristiche biologiche del tumore rendendo ‘governabili’ da parte del sistema immunitario tutte le cellule tumorali presenti all’interno di una lesione neoplastica. “In questa terza fase – aggiunge Maio – abbiamo dimostrato che è possibile revertire l’eterogeneità del tumore, rendendo le cellule tumorali tutte uguali per la presenza degli antigeni tumorali che sono il bersaglio della vaccinoterapia”.
A questo punto, dopo aver modificato con i farmaci le caratteristiche biologiche delle cellule tumorali, è stato dimostrato che esse diventano egualmente suscettibili al controllo da parte del sistema immunitario del paziente che, riconoscendole, può aggredire più efficacemente il tumore, migliorando quindi l’efficacia terapeutica dei vaccini. Si tratta di un’innovazione che, partendo dal laboratorio di ricerca traslazionale, apre frontiere importanti nello sviluppo clinico di nuove terapie nel settore oncologico.