Nella famosa edizione di Medea del '96, diretta da Luca Ronconi, l'eroina tragica euripidea era interpretata da uno dei maestri del teatro italiano: Franco Branciaroli. Sì, come nel teatro antico di Atene, Medea era un attore maschio. Ora Branciaroli ritorna a confrontarsi con il testo di Euripide ripercorrendone le azioni in un cortocircuito inestricabile tra narrazione e messa in vita di tutti i protagonisti della cruenta vicenda, che nei fatti segnò il fallimento dell'incontro tra la "barbara" principessa della Colchide e la civiltà greca.
Medea va così oltre il personaggio di donna abbandonata e tradita e perciò artefice di una vendetta tremenda, per divenire emblema di un dolore più grande, di una solitudine più angosciante e devastante: quella del diverso, uomo o donna, straniero o barbaro, poco importa, in un'attualità di accenti di cui solo il grande teatro classico è ancora capace. Spostando il baricentro del dramma dal rapporto Medea-Giasone a quello Medea-coro e sottraendo parallelamente il testo alle interpretazioni "psicologiche" , Medea svela la propria identità di maschera impenetrabile, figura di un'irriducibile alterità pronta a pietrificare, come una nuova Medusa, chi cerchi di decifrare il suo segreto.