Nuovo restyling del primo, storico spettacolo di Daniele Luttazzi, rappresentato per la prima volta nel 1993.
Daniele Luttazzi considera un onore e un privilegio appartenere alla schiatta dei guitti. Come le loro, anche le sue trovate derivano da quelle del Satiro dell’antica commedia greca, che a loro volta risalgono ai riti fallici e alle cerimonie in onore di Dioniso. Nei monologhi moderni di Luttazzi ritroviamo le caratteristiche fondamentali della clownerie di tradizione: il gergo volgare e osceno, i tratti amorali e asociali, le tare mentali e fisiche che contribuiscono a trasformare in caos il mondo circostante:
"A letto era del tutto disinibita, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da sperimentare.
Ricordo ancora la volta che mi fece bere champagne dalla sua vagina. Dieci litri!”
Luttazzi trasforma il caos in goffaggine e sproporzioni, ma appena pensi di averlo inquadrato se ne allontana con trovate piene di grazia, per poi risprofondare in esso con la sua prosodia precipitosa:
“Aveva una gamba di legno. Ma il piede era vero.”
Luttazzi, buffone scurrile ed empio, una volta toccato l'abisso resta come posseduto da qualcosa che in esso dimora. Ha difficoltà con gli oggetti fisici, con le forme sociali e con le norme che presiedono a entrambi.
Benchè queste difficoltà e la sua incapacità a superarle ci colpiscano come una ridicola perdita di dignità, Luttazzi capita che ne vada fiero. Ha il sesto senso, solo che gli mancano gli altri cinque. Per questo íl flusso delle sue trovate anticipa sempre un po' la capacità di reazione del pubblico:
"Era una ragazza con la pelle grassa. Piena di brufoli. Ma molto colta.
Coltissima. Quando esplodevano, i suoi brufoli facevano: proust!"
La malizia di Luttazzi può limitarsi alle birichinate a danno di oggetti o persone:
"Emilio Fede è un androide ottenuto combinando ìl corpo di Emilio Fede col cervello di Emilio Fede.
La cosa incredibile è che il risultato è inferiore alla somma dei due componenti”;
oppure arrivare al punto di interferire con astruse bizzarie nelle nostre riflessioni su noi stessi e sul mondo:
"Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? La realtà esiste? E se non esiste, chi glielo dice a Valeria Marini?"
Furfante e arguto, zimbello e grullo, Luttazzi si nutre della confusione fra senso e non-senso, fra la realtà concreta e le inesauribili potenzialità che essa lascia intravedere al suo interno.
La sua tendenza non è di focalizzare, ma di dissolvere gli eventi:
“A causa del maltempo, ieri l'Alitalia ha cancellato l'85% dei voli.
Sfortunatamente alcuni di questi erano in aria, al momento.”
Tempo, spazio, leggi, norme: Luttazzi ne è indipendente. Ci gioca inventando battute, contento di averci proceduto:
"A tutti piacciono le minorenni. Per questo c’è una legge."
I nostri tentativi di conformarci a un ideale "dover essere” si fondano su valori antitetici a quelli di Luttazzi.
Ne fa fede il suo stolido infantilismo:
“Non ho mai capito cosa ci sia di così erotico negli slip commestíbili. Li indossi per una settimana, alla fine hanno lo stesso sapore degli altri.”
Luttazzi esprime elementi della cultura universalmente ricorrenti: la parodia del sacro, la comicità basata su sesso e oscenità, e quella basata sulla malattia e la morte. Questi temi sono intrecciati fra loro. Ogni culto si fonda sull’istinto e al tempo stesso regola il nostro accesso a esso.
Ne consegue che spesso il clownismo cerimoniale ha carattere sessuale. Nelle feste carnascialesche dei Fastnacht del XV secolo, ad esempio, il buffone era per lo più un “servo di Venere” intento esclusivamente a soddisfare le sue pulsioni sessuali; mentre presso gli indiani Pueblo il clownismo è ancora oggi una forma di magia connessa alla fertilità: un aspetto, questo, rintracciabile in molte epoche e luoghi e che si esprime con parole sconce, giochi licenziosi, esibizionismo, travestitismo, offese al pudore, allusioni al rapporto sessuale, nel mangiare escrementi e nel bere urina.
L’apparentemente rozza oscenità apotropaica del buffone cela sottili valenze simboliche. Egli è il portavoce della saggezza dell'irrazionale.
L’angoscia del nulla è dissolta:
“Quando morirò, voglio essere cremato, e voglio che le mie ceneri siano sparse sul corpo di Sabrina Ferilli."
Il Buffone ha per natura una funzione eversiva contro il sacro, le proibizioni autoritarie, il potere. Per lui non c’è nulla di fisso, nulla di acquisito. Può dire tutto impunemente perchè si pone fuori dalle regole sociali, ma fa da specchio alla goffaggine maldestra con cui affrontiamo le forze avverse dì un universo inospitale il cui senso ci sfugge.
Getta lo scompiglio nell'ordine che abbiamo eretto a nostra difesa, si prende gioco della nostra sicurezza e mette in crisi la presunta oggettività della nostra visione dei mondo. Ci costringe ad ammettere che il confine fra ordine e caos non è così netto come vorremmo. E non è là dove vorremmo che fosse. Colpito da una mazzata, si rialza come niente fosse.
E' lo spirito umano, immortale.
Facendoci ridere, ci rende liberi.
I settore: € 20 + prev
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SASCHALL (domenica 9 febbraio ore 21.00)
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