La compagnia Teatro dell’Urlo, dopo il successo dell’anno scorso, replica per la XXIII edizione del Festival di Montalcino e VII del Festival della Val d’Orcia lo spettacolo Garage Olimpo tratto dal film omonimo di Marco Bechis. Il film (presentato al Festival di Cannes nel 1999 e premiato da numerosi riconoscimenti in tutto il mondo) intende ricordare i trentamila cittadini sequestrati e scomparirsi in Argentina fra il 1976 e il 1982, componendo un quadro sulla violenza e la dittatura che va al di là del contesto storico politico e sociale in cui è ambientato.
“Il pubblico dello spettacolo è all’interno della prigione, trattato come se fosse un prigioniero.
Non si tratta di ricreare il garage del film o la stanza delle torture (chirurgia) ma, piuttosto, lavorare sulle atmosfere, sulle sensazioni che danno ad un luogo la cupezza e lo squallore, insieme, caratteristiche di una condizione di annientamento dell’essere umano. Ma, a pensarci bene, che cos’è una prigione se non un’anticamera della morte o, in altri casi, di una “nuova” vita? E’ un non spazio vitale, ristretto per definizione e per autorità, neutro perché incapace di adattarsi agli esseri umani.
E’ da qui che ripartiamo nella nostra personale rilettura di Garage Olimpo. Perché porre gli spettatori nella condizione di prigionieri significa cambiare totalmente il punto di vista, svelando maggiormente la storia e quindi amplificare la percezione stessa degli eventi.
La scena parte da un tavolo a croce messo sul palcoscenico dove gli spettatori sederanno come se assistessero ad una lezione. La protagonista come una maestra insegnerà loro a leggere e scrivere.
A un certo punto entreranno un ufficiale e un sottufficiale che prenderanno la maestra e la benderanno.
La benda per tutti gli spettatori sarà rappresentata dal buio totale, improvviso.
Di colpo si ritroveranno proiettati in un nuovo spazio delineato da voci, urla, rumori, suoni, musica, odori. La prigione: Garage Olimpo. Dentro, lentamente, si delineeranno i rapporti tra i diversi gradi dell’esercito e le varie personalità di ognuno, prigionieri compresi, che in questo caso avranno il volto e il carattere di Maria Fabiani (la protagonista). Ogni carceriere si rapporterà a lei in modo sostanzialmente diverso, favorendo quindi la rivelazione di ognuno di essi per quello che realmente sono.
Felix (il protagonista maschile), in particolare, instaurerà con lei un rapporto morboso e possessivo, dando così prova della sua solitudine, dell’incapacità di adattamento, dell’assoluta mancanza di un vissuto reale, rivelandosi alla fine in tutta la sua profonda negatività.
Immagini dell’epoca (1978) si uniscono a immagini sceniche, musica azionata da una radio che, come nella realtà, copre le urla dei torturati, luci fredde azionate direttamente dagli attori.
Lo spettacolo è per 80 spettatori.