Si ha dichiarazione di fallimento quando la società si trova in stato di insolvenza, cioè quando non è più in grado si soddisfare le proprie obbligazioni (articolo 2 del Regio decreto numero 267, del 16 marzo 1942).
Lo stato di insolvenza, quindi, non ricorre qudno non si pagano i debiti per inadempienza alle scadenze prefissate, ma quando ad essi si fa fronte in modo non regolare, ricorrendo, ad esempio, all’alienazione di parte del patrimonio per ottenere la liquidità necessaria, oppure provvedendo ai pagamenti attraverso il loro frazionamento in acconti rateali raccolti con difficoltà.
Lo stato di insolvenza, inoltre, non è una situazione temporanea, bensì deriva da una certa permanenza nel tempo. L’iniziativa per la dichiarazione di fallimento può essere presa dallo stesso debitore, da un oo più creditori, dal pubblico ministero, dai curatori o d’ufficio dal tribunale (art. 6 R.d. 267).
Tutto il patrimonio del fallito è messo a disposizione dei creditori, i quali vi concorrono paritariamente e i misura proporzionale all’ammontare del credito. Esistono, comunque, alcune categorie di creditori che sono privilegiati.
Si tratta di portatori di granzie reali (pegni, ipoteche, mutui) oppure assistiti da garanzie di legge (dipendenti, professionisti).