POZZUOLI- Tra i luoghi più straordinari e sconosciuti del Sud Italia c'è il Rione Terra, il primo nucleo abitativo di Pozzuoli fin dal II secolo a.C.. Si tratta di una altura che permetteva di controllare le imbarcazioni in arrivo dal mare e le minacce dei nemici da terra. Il quartiere fu sgomberato nel 1970 a causa della crisi bradisismica, oltre alle pessime condizioni igieniche che lo avvicinavano ai Sassi di Matera. Ulteriormente danneggiato dal terremoto dell'Irpinia del 1980 e da una nuova recrudescenza del bradisismo nell'83/4, il Rione è stato per decenni oggetto di un estenuante percorso di riqualificazione, che ha consentito però la riscoperta del ricco patrimonio archeologico sottostante. A partire dal 2014 è parzialmente visitabile.
Due nomi legano l'acropoli puteolana a Firenze e alla Toscana. Sono quelli di Artemisia Gentileschi e di Marco Dezzi Bardeschi, che hanno operato, in epoche diverse su un autentico gioiello situato nel Rione Terra, la Cattedrale di Pozzuoli.
Artemisia Gentileschi
E' autrice di ben tre dipinti conservati nel duomo. Realizzato all'epoca della dominazione spagnola, il duomo si appoggia su un tempio di epoca romana dedicato ad Augusto, che a sua volta inglobava un tempio di età repubblicana risalente al 194 a.C..
La protagonista della scuola caravaggesca era la primogenita di Orazio Gentileschi, pittore pisano stabilitosi nella Roma dei papi Medici. Convolata a nozze con il pittore Pierantonio Stiattesi, la 19enne Artemisia si trasferì a Firenze, dove conobbe un lusinghiero successo. Fra i suoi amici fiorentini vi erano eminenti personalità del tempo, fra cui Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti il giovane, nipote del celebre artista. Il soggiorno in Toscana fu molto fecondo e prolifico per la Gentileschi, che in questo modo ebbe modo di affermare per la prima volta la sua personalità pittorica.
Nell'estate del 1630 Artemisia si recò a Napoli, città fiorente di cantieri e possibilità di lavoro. La capitale del viceregno spagnolo, seconda metropoli europea per popolazione, aveva ospitato a quell'epoca Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Giovan Battista Marino e artisti del calibro di Caravaggio, Annibale Carracci e José de Ribera. A Napoli Artemisia Gentileschi ricevette la commissione per tre tele: San Gennaro nell'anfiteatro di Pozzuoli, Santi Procolo e Nicea, Adorazione dei Magi.
Le opere furono collocate nella Cattedrale di Pozzuoli, che divenne così non solo una tappa fondamentale per chi voglia conoscere ed apprezzare la produzione artistica della pittrice, ma anche un raro esempio di luogo sacro cristiano ampiamente decorato (con un totale di circa 18 metri quadrati di tela) da un'artista femminile. Sono del primo periodo napoletano anche altre opere, quali la Nascita di San Giovanni Battista (ora al Prado), Corisca e il satiro, oltre a varie Giuditte, Susanne, Betsabee, Maddalene penitenti.
Artemisia, dopo anni in giro per l'Europa, tornò a Napoli nel 1649, dove morì quattro anni più tardi. Fu seppellita presso la Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini.
Veniamo ai giorni nostri. Nella notte tra il 16 e il 17 maggio 1964, la navata centrale della Cattedrale venne distrutta da un incendio, divampato dal tetto in legno alla volta in incannucciato. L'intenso calore sviluppatosi calcinò i muri di pietra e i marmi antichi, ma fece riemergere il tempio romano. Mentre le tele salvate furono poste in salvo nei musei di Capodimonte e di San Martino. Poi nel 1970, l'intero Rione Terra fu sgomberato per i danni subiti a seguito di una crisi bradisismica. Il terremoto del 23 novembre 1980 e l'accentuazione del bradisismo del 1983-84 completarono il totale abbandono del rione, che fu sottoposto ad atti vandalici e saccheggi. I restauri ripresero nel 1994 grazie alla costituzione di un consorzio. Nel luglio 2003 la Regione Campania bandì un Concorso internazionale di progettazione per il restauro del Duomo, vinto dal progetto del gruppo guidato da Marco Dezzi Bardeschi.
L'ingegnere e architetto fiorentino, teorico del restauro architettonico, si era laureato nel 1962 con Piero Sanpaolesi con una tesi sul restauro del complesso di San Pancrazio a Firenze, oggetto negli anni '80 di un progetto di rifunzionalizzazione del complesso, che ricorda per certi versi quello realizzato poi a Pozzuoli. Già nel 1965, funzionario della Soprintendenza di Arezzo, progettava la nuova organizzazione del presbiterio della Basilica di San Francesco, inserendo un'architettura dichiaratamente contemporanea nel contesto storicizzato della chiesa.
Molti anni dopo, Dezzi Bardeschi a Pozzuoli propone l'unione di due realtà apparentemente opposte: il tempio classico e la chiesa tardo barocca. L'ingresso oggi avviene attraverso i resti della facciata e delle prime due cappelle della cattedrale barocca, oltre le quali una nuova facciata in cristallo strutturale riproduce in serigrafia le colonne frontali del pronao andate distrutte. La navata unica, allestita nella cella e nel pronao, vede alte pareti in cristallo strutturale.
Ma il pavimento è alla sua quota originaria del Tempio, mentre il piano dello stilobate è stato scavato al suo interno, realizzando un piano inclinato di raccordo con lo spazio del presbiterio posto ad una quota più bassa, in modo da valorizzare il percorso archeologico sottostante, nel quale sono conservati i resti del podio di età repubblicana identificato con il Capitolium della colonia romana del 194 a.C. Nel presbiterio è stato allestito un nuovo altare, in luogo dell'antico, andato perduto e un ambone artistico in marmo, nel coro invece sono state ricollocate le 13 tele barocche rimosse dopo l'incendio.
L'atteggiamento di Dezzi Bardeschi verso la preesistenza è di conservazione totale, senza alcuna integrazione né degli apparati decorativi medioevali deturpati dal progetto settecentesco. Tutte le aggiunte per il progetto di riuso del manufatto (integrazioni delle pavimentazioni, realizzazione degli impianti termici, e della scala di sicurezza) sono realizzate rispettando la struttura preesistente.