“La Toscana è sotto la media per gli atti persecutori e la violenza familiare mentre i reati sessuali siamo leggermente al di sopra della media nazionale. La questura fiorentina svolge attività di formazione-informazione alle altre armi di polizia”, a partire dai Carabinieri, presenti capillarmente sul territorio nazionale, ma anche alla guardia di finanza e alla polizia locale. Formazione che si segnala in particolare anche per quanto riguarda l'emersione e la comprensione dei segnali, quelli che vengono lanciati dalle vittime di violenza velati, celati, inconsci a volte. Quelli che riescono, se colti in tempo, ad evitare le tragedie". Lo ha detto il questore di Firenze, Maurizio Auriemma, intervenendo oggi, 25 marzo 2024, al seminario di formazione per i giornalisti, organizzato dall'Associazione Stampa Toscana, in stretta collaborazione con la Regione.
“Abbiamo messo in atto nell’ultimo trimestre - ha continuato Auriemma - trenta provvedimenti di ammonimento. Un numero importante, ma che non deve far paura, dal momento che se esistono denunce esiste consapevolezza, mentre il silenzio spesso cela le violenze e l’incapacità di farle emergere. L’attività sta proseguendo, sul territorio di Firenze, dove, negli ultimi due anni e mezzo “abbiamo sottoscritto numerosi protocolli con le associazioni che si occupano di violenze di genere”. Protocolli che, dice Auriemma, "cerchiamo di rendere concreti e di confronto dialettico, proprio per giungere a una soluzione reale".
Il corso, nella Sala Pegaso della Presidenza della giunta regionale, affollatissima di giornalisti, aveva come titolo: "Violenza di genere. Il linguaggio giornalistico contro gli stereotipi e per una corretta narrazione rispettosa delle vittime anche dal punto di vista deontologico”. Dopo l'introduzione del presidente Ast, Sandro Bennucci, che ha ringraziato il governatore, Eugenio Giani, e il suo capo di gabinetto, Cristina Manetti, ideatrice e promotrice dell'iniziativa "La Toscana delle donne", che ha anche annunciato due nuovi corsi su questo tema. Il primo si svolgerà a Lucca in una data che sarà presto inserita nella piattaforma professionale.
E' quindi intervenuta la dottoressa Nadia Giannattasio, commissario capo dell'anticrimine. Rispondendo alle domande del presidente Bennucci, ovvero, cosa non vorrebbe leggere all’indomani di un femminicidio e perché le vittime spesso fanno segnalazioni tempestive, non riescano comunque a evitare la violenza, la dottoressa Giannattasio è andata al cuore del problema: “Ciò che non vorrei leggere è quello che non vorremmo leggere per le donne. Avete dei regolamenti che dicono con chiarezza cosa non dire riguardo ai termini del linguaggio.
Linguaggio, parole che sono mezzi potenti. Ci sono parole che possono creare un danno profondo. Leggere di lite familiare e conflitto familiare, è una cosa che opera una confusione concettuale; una cosa è un conflitto, un’altra cosa è la violenza in cui c’è prevaricazione”. Inoltre, con riferimento agli autori delle violenze, “ qualificare un autore come orco, mostro, bestia, lo disumanizza”, rendendolo in qualche modo più “rassicurante”, ovvero, si tratta di un mostro, non di una persona che si può incontrare nella normalità.
Ed è qui lo sbaglio, ha sottolineato Giannattasio, dal momento che quasi sempre “si parla di persone all’interno di contesti familiari, integrati nel contesto quotidiano. La violenza ha radici profonde”. Inoltre, “i riferimenti a depressione, alcolismo, situazioni di esasperazione per relazioni interrotte e tradimenti, rischiano di spostare l’attenzione, ribaltando anche responsabilità che danno la sensazione in qualche modo di un alibi “. Infine il commissario capo ha ricordato 4 parole con la p: prevenzione, protezione, perseguire i responsabili, procedure integrate. Sono le 4 P della carta di Instanbul, “che bisogna perseguire per rendere fiducia e dignità alle donne”.
Quindi l'intervento di Chiara Brilli, vicepresidente dell’Ast, e direttrice di Controradio, impegnata in prima linea nella battaglia contro la violenza di genere, la quale ha ricordato che dal 2017 l’Associazione Stampa Toscana ha focalizzato il tema, “riscontrando comunque difficoltà nel trattare i casi in questione, scoprendo quanto sia necessario riaggiornare l’ambito linguistico e mettendo in guardia da una narrazione distorta che provoca una percezione distorta”.
Eleonora Pinzuti, esperta di linguaggi inclusivi, docente e saggista, ha proposto una lunga e affascinante carrellata non solo sull’importanza del linguaggio nel creare (o inquinare) le realtà, ma anche sul linguaggio pubblico come porta d’accesso al potere. Tant’è vero che fra svariati esempi e l’evidente prevalenza dei termini maschili nel linguaggio comune, il che segnala l’immersione totale nella cultura patriarcale, risuona l’ingiunzione si San Paolo alle donne, quello “state zitte” che riguarda l’ecclesia, ovvero lo spazio pubblico. Chi non parla, non forma la realtà, quindi, in un certo senso, non esiste. Per questo, l’importanza della vigilanza linguistica, in un interagire in cui il linguaggio è azione, è fondamentale per sganciarsi dalla sudditanza patriarcale da un lato e dall’altro per un racconto rispettoso del femminile e della tragedia del femminicidio.
Un breve intervento di Giovanni Squarci, dell'ufficio stampa dell’azienda di Careggi, il quale ha ricordato quanto sia difficile persino dare notizie adeguate e non irrispettose o addirittura già contenenti giudizi impliciti quando si tratta di casi di femminicidi o violenze. A fronte della rete dei confini previsti da privacy e codici di comportamento professionali, esiste infatti la parte, esterna rispetto al femminicidio, dell’offender, che può liberamente esternare pensieri e azioni.
“Il rischio - ha detto Squarci – è che infine a rimanere senza voce siano solo le vittime”. Cristina Manetti, capo di gabinetto e ideatrice della manifestazione “La Toscana delle donne” organizzata dalla Regione, ma anche giornalista, interviene brevemente: “La gravità e il trend di crescita del fenomeno della violenza maschile sulle donne impone a tutte le istanze della società civile di incrementare e rafforzare la propria azione: per questo è necessario ristabilire una narrazione corretta attraverso studio e formazione professionale” .
Infine, apprezzato e applaudito, l'intervento di Vittoria Doretti, precorritrice e protagonista del "Codice Rosa", esperienza che ha trovato l’eccellenza in Toscana, partendo dalla Maremma per diventare modello capace di valicare i confini della Regione. La dottoressa Doretti ha ripercorso tappe personali e lavorative dal momento che lei stessa, donna, ha dovuto vivere sulla propria pelle e nella propria coscienza la consapevolezza che si acquisisce a poco a poco del valore del proprio essere donne a partire dalla femminilizzazione delle qualifiche professionali, da sindaca ad assessora a direttrice (o direttora).
Un’educazione per nulla scontata, dunque, quella che dovrebbe condurre le donne, tutte, a rendersi autonome dall’inseguire modalità maschili persino nelle denominazioni professionali. Quanto al Codice Rosa, ancora, nonostante ormai si tratti del fiore all’occhiello della sanità toscana, introdotto al pronto soccorso con la stessa dignità riservata ai casi più gravi, qualcosa bisogna perfezionare. In particolare, come spiega Doretti, “la consapevolezza, per tutti, che la vittima di violenza non può aspettare, non è rinviabile, non si tratta di casi di serie B”.