La figlia di Angelina Jolie compie 18 anni e cambia cognome

Storie di figli che estirpano i propri padri

Paola
Paola Marangio
23 giugno 2024 15:52
La figlia di Angelina Jolie compie 18 anni e cambia cognome

Anche Shiloh Nouvel, neo-diciottenne, segue le orme dei suoi fratelli e si rivolge ad un tribunale per eliminare dai propri documenti il cognome del padre Brad Pitt. Avevano già fatto la stessa cosa i suoi fratelli maggiori, figli adottivi degli ex coniugi: eliminano il padre dalla propria vita e dai propri dati anagrafici.

Possiamo guardare a questo gesto da innumerevoli punti di vista. Per esempio da quello del figlio inconsapevolmente triangolato in un conflitto genitoriale che si ritrova genuinamente ad odiare uno dei sue genitori ed applicarsi per distruggerne la presenza nel residuo di famiglia che abita. Oppure dal punto di vista simbolico, di indiscutibile valore, per il quale il figlio di un genitore violento e maltrattante cambi cognome come a voler recidere quel legame indissolubile nel quale però passa solo veleno (in tal caso, spoiler: ahimè non sarà sufficiente modificare il documento)

Naturalmente scrivo non conoscendo la vera storia di questa famiglia ma mi sono imbattuta in questa recente notizia ed ho visto accendersi in me decine di quesiti e voglio condividerli perché credo che quando le storie si ripetono di generazione in generazione devono far riflettere tutti, non solo chi per lavoro tende a fare delle ipotesi sui nessi relazionali.

I figli di Angelina Jolie e di Brad Pitt arrivano a 18 anni e cambiano cognome, uno dopo l’altro. Non mi esprimo sulla cosa in sé ma noto che Angelina a sua volta è stata una figlia che ha cambiato cognome per eliminare quello del padre Jon Voight. A 27 anni decide di utilizzare il proprio secondo nome “Jolie” come fosse un cognome amputando di fatto un terzo della sua identità anagrafica: da Angelina Jolie Voight ad Angelina Jolie. Come diventata in quel momento genitore di se stessa dopo aver collezionato abbandoni, delusioni e traumi derivanti dal padre (dice forse lei) e dalla madre (aggiungo io leggendo che la ha affidata ad una balia a 10 mesi perché somigliava troppo a suo padre).

Per questa donna probabilmente è stato un gesto simbolico risolutivo di decenni di tentativi di elaborazione, lo dimostra il fatto che lo stesso anno adotta il suo primo figlio da un orfanotrofio in Cambogia. D’altra parte lei, da esperta di abbandoni e appena venuta a capo di un lutto perpetuo, non poteva che sentir risuonare qualcosa di deflagrante in quel contesto.

Le strategie di sopravvivenza che affiniamo con fatica durante la nostra crescita sono risorse facilmente accessibili per i nostri figli, ma sono sempre quelle giuste?

Il primogenito Maddox per i primi quattro anni dopo l’adozione porta il cognome della madre Jolie per poi ricevere anche quello del marito della madre Pitt per i successivi dieci anni. Compiuti 18 anni cambia nuovamente cognome dopo che il padre lo aveva picchiato. Sua sorella Zahara (figlia adottiva) fa lo stesso e ora anche Shiloh (prima figlia biologica di entrambi che quindi il cognome Jolie-Pitt lo ha sempre avuto).

Utilizzano tutti la strategia che era stata vincente per il cuore ferito della loro mamma come figlia, di sicuro non la propria. Non metto bocca sulla scelta, non è questo il contesto; noto però che uno dopo l’altro questi figli risolvono il proprio problema con il padre utilizzando uno strumento che è stato della madre (che aveva un problema diverso ed un padre diverso).

Dobbiamo fermarci ed incuriosirci quando ci imbattiamo, come spettatori o come protagonisti, in storie che si ripetono da un generazione all’altra perché dare senso alle cose è l’unico antidoto per la catena infinita di ripetizione.

Dobbiamo chiederci come influisce il vissuto di una madre con una storia così densa di dolori nell’area dell’appartenenza/abbandono sulle numerose adozioni.

E come influisce sulla scelta di un partner che si rivela inaffidabile e maltrattante come padre e come marito? Oppure ancora sull’impossibilità dei figli di mantenere un legame con il proprio padre nonostante questa recisione sia dolorosamente l’ennesima per i figli adottivi e forse solo formale per i figli biologici?

Naturalmente ho smesso da diverse righe di interrogarmi sulla famiglia Jolie-Pitt (di questo passo solo Jolie), ma mi riferisco a tutte le nostre situazioni di vita in cui gli eventi ci fanno sentire che siamo in un brutto film dove la storia è ciclica e ineluttabile.

La terapia può servire anche a questo, forse principalmente serve a questo: dare senso alle cose perché quando hanno un senso sono pensabili ed a quel punto in gioco è fatto e la catena è spezzata.

La psicologa risponde — rubrica a cura di Paola Marangio

Paola
Paola Marangio

Psicologa, psicoterapeuta e mediatrice familiare. Referente del sito PsicologiaFirenze.it. Membro dello staff clinico e didattico dell’Istituto di Terapia Familiare di Siena, ha lavorato nell’equipe del Centro di Terapia Familiare della ASL 10 di Firenze e si è occupata delle valutazioni psico-ambientali delle commissioni medico legali INPS. Collabora con la cooperativa sociale Matrix onlus in ambito della disabilità e psichiatria. Per inviare quesiti scrivere a: marangio@psicologiafirenze.it

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