FIRENZE- Il patrimonio storico della Toscana, e del Valdarno in particolare, si arricchisce di un nuovo, prestigioso elemento, istituito per far luce sul fenomeno dei nuovi centri abitati che nacquero a ridosso del Mille, e segnarono un periodo di forte sviluppo per la nostra regione. A San Giovanni Valdarno, le splendide sale di Palazzo d’Arnolfo ospiteranno il Museo delle Terre Nuove, che aprirà i battenti sabato 21 dicembre. Alla presenza del Sindaco e dell’Assessore alla Cultura del Comune - Maurizio Viligiardi e Barbara Fabbri -, affiancati da Paolo Pirillo, docente di storia medievale all’Università di Bologna e membro del comitato scientifico del museo, è stato presentato il punto d’arrivo di un progetto co-finanziato dalla Regione Toscana e fortemente voluto dal comune valdarnese, che vi ha lavorato per anni.
La nuova istituzione andrà ad arricchire il sistema museale del territorio, e sarà un importante veicolo per la sua promozione. Inutile ricordare come le risorse artistiche e paesaggistiche, unite a quelle eno-gastronomiche costituiscano una strada ovvia e obbligata per innescare una ripresa economica della quale si avverte l’urgenza. Il nuovo museo è un investimento in tal senso, inserito in una più ampia strategia che punta, in un futuro prossimo, a stabilire una vera e propria rete turistica fra le cittadine raccontate nelle sue sale, seguendo l’esempio di quanto accaduto nella regione di Bordeaux. Anche per questo, si tratta di un museo unico in Italia, che ripercorre un periodo storico fondamentale nella storia politica della Toscana, raccontando la storia della nascita di San Giovanni Valdarno, assieme a quella di tante altre cittadine della Toscana “minore”, in un periodo in cui il territorio rivestiva un’importanza vitale.
Il ritorno a un’economia aperta, subito dopo il Mille, il miglioramento delle condizioni di vita dovuto alla fine delle invasioni barbariche, portatrici di guerre e carestie, e la conseguente ascesa demografica, fecero sì che le piccole cittadine esistenti non bastassero più a contenere una popolazione che chiedeva terra da coltivare e cibo per sfamarsi. Si tratta, in un certo senso, di un museo che documenta un’impresa politica e sociale, quale fu quella di conquistare alla civiltà umana aree sino ad allora disabitate, assoggettandole di fatto al vassallaggio verso la città-madre.
San Giovanni Valdarno nacque appunto così, sulle ali dell’espansionismo fiorentino, alla ricerca di nuove terre. Tuttavia, la Dominante iniziò in ritardo la sua politica di colonizzazione delle campagne, impedita dalle lotte intestine che mettevano a repentaglio la stabilità della Signoria. Già i Conti Guidi, dal 1119, avevano iniziata una vasta campagna di fondazione di nuovi insediamenti, fra cui Empoli e Poggibonsi. Ai primi del XIII Secolo, Lucca e Siena si muoveranno in tal senso. La prima Terra Nuova fiorentina sarà, nel 1284, Pietrasanta, presso l’odierna Borgo San Lorenzo, cui seguirà, nel 1299, San Giovanni Valdarno.
Molti dei nuovi centri erano caratterizzati da una piazza per il mercato, il palazzo del potere, e i loggiati per le botteghe, e ovviamente la cattedrale. Una storia di vicende sociali e politiche raccontata attraverso un’accurata esposizione di ricostruzioni ideali, documenti di progettazione degli edifici, loro distribuzione all’interno della città, di assegnazione delle terre circostanti, e di progettazione delle mura difensive. Entità civili e militari insieme, corpi fondanti di una società in crescita.
Il nuovo museo si pone all’interno di un discorso di dimensione europea, poiché la cosiddetta “ripresa dell’anno Mille” caratterizzò tutto il (non ancora) Vecchio Continente, in particolare nelle sue regioni settentrionali; i dintorni di Bordeaux, in Francia, così come le città tedesche di Friburgo e Lubecca ebbero un’origine del genere, fondate appunto per aprire nuove aree all’insediamento umano. Un museo importante, che alla valenza storica, affianca quella politica e antropologica: osservando attentamente i documenti esposti - ad esempio le strategie di pianificazione, o i regolamenti cittadini -, si può comprendere quel carattere profondamente umano che la Toscana ha sempre avuto.
Viene alla mente Curzio Malaparte, il quale scriveva che, in un’Europa medievale travolta dalle guerre, ostaggio del tradimento politico e della sopraffazione, esistevano Imperi, Regni, Contee e Vescovadi; ma l’unico Paese che fosse una “casa” per i suoi cittadini, era appunto la Toscana. Un’esagerazione poetica? Può darsi, ma è innegabile quel senso greco delle proporzioni che rende vicino all’uomo tutto quanto per esso viene realizzato. Dalle sorgenti dell’Arno alla Maremma, dal Mugello alla costa pisana, si è liberi cittadini, membri effettivi di una civiltà socialmente avanzata che fa della libertà un imprescindibile caposaldo.
In sordina, con modestia, ma con efficacia. Questo spirito urbano (in senso lato), dal quale poi scaturì l’Umanesimo, nacque allora, in quelle tante cittadine fondate in aperta campagna, che le città quali Siena, Pisa, Firenze, riguardavano come strategica risorsa. Il rapporto con il territorio, la cui bellezza lo qualifica un’opera d’arte a sé stante, è sempre stato strettissimo in Toscana, e sin dal Medioevo ci si è prodigati per addomesticarlo garbatamente all’ingegno dell’uomo.
Tutto, in Toscana, è (o era), a sua misura, secondo quelle proporzioni artistiche e filosofiche che questo popolo ha saputo fare sue. Anche costruendo città. di Niccolò Lucarelli