Le opportunità di finanziamento che si apriranno col prossimo Piano agricolo comunitario (Pac 2014- 2020) rischiano di essere per la castanicoltura italiana, e per quella toscana in particolare, un'occasione perduta. Se ne è discusso a Marradi in un convegno organizzato dal Centro studi sul castagno in collaborazione col ministero delle Politiche agricole, con l'Ente Cassa di Risparmio e con l'associazione Castanea-European Chestnut Network. Per i castanicoltori il rischio è quello di non poter assaporare la fetta più ghiotta della torta (27 miliardi di euro per i pagamenti diretti, fonte Inea) che l'Europa servirà all'Italia nel prossimo settennio.
E che per la prima volta potrebbe coinvolgere anche la castanicoltura. Potrebbe. Perché a livello pratico i requisiti da soddisfare trovano molti ostacoli. A spiegarli è Giovanni Alessandri presidente di Castanea Network. Un primo impedimento arriverà dalla definizione di “agricoltore attivo” che molto probabilmente in Italia andrà a coincidere con quella di “imprenditore agricolo professionale” (Iap) tagliando fuori di fatto i castanicoltori. C'è poi un altro aspetto fondamentale.
La Toscana, come altre regioni (fatta eccezione per Lazio e Campania) non annovera la castanicoltura tra le attività agricole. Risultato? Pur soddisfacendo molte delle caratteristiche premiate dal nuovo Pac – coltivazione in aree svantaggiate, preponderanza di piccoli agricoltori, aree votate al greening, attenzione all'ambiente etc.- la castanicoltura dovrà accontentarsi di accedere alle misure riservate alla selvicoltura attraverso il Piano di sviluppo rurale (Psr) che prevede per l'Italia 10,5 miliardi di Euro.
Ma anche in questo caso ci sarà da far battaglia. La Toscana sarebbe infatti intenzionata a tralasciare alcune misure guardate con interesse dai territori montani. Due in particolare: il sostegno alla nascita di nuove associazioni- le cosiddette organizzazioni di produttori per le quali l'Organizzazione comune di mercato prevede un finanziamento di 4 miliardi- e la possibilità di coltivare castagni da legno. Tra le prospettive più allettanti del nuovo Psr ci sarebbero invece le risorse dedicate all'avvio di nuove imprese giovanili per le quali il tetto massimo passerà da 40 a 70 mila euro.
Da non trascurare poi i fondi previsti in caso di calamità che potrebbero aiutare a contenere i danni del cinipide e gli incentivi alla forestazione che consentiranno la piantumazione di nuovi castagni. Infine la possibilità di avviare attività extra-rurali e di acquisire i cosiddetti pagamenti agro-climatici-ambientali per i benefici derivanti dalla cura del patrimonio arboreo. “Tutto dipenderà della scelte regionali e dai bandi che verranno attivati – sottolinea Alessandri- ma per quanto riguarda i finanziamenti diretti, a livello regionale i giochi sembrano ormai fatti”.
Colpa del settore, che non riesce a fare lobby. Di una costellazione di piccoli produttori, spesso isolati. E di associazioni, prima fra tutte quella del consorzio Igp, incapaci di coinvolgere i produttori per guadagnare peso ai tavoli istituzionali. Colpa anche della marginalità del del castagno in un territorio come quello toscano dominato dall'olio e dal vino. “ La verità- ammette Alessandri – è che il reddito prodotto dalla castanicoltura è importate dal punto di vista sociale perché investe aree disagiate e montane, ma ad oggi resta completamente marginale dal punto di vista del Pil e dei quantitativi prodotti.
Ma è proprio partendo da questo presupposto – conclude il presidente di Castanea Network- che investire in ricerca innovazione diventa strategico”. di Ivica Graziani