Grande attenzione alle intolleranze al glutine nella prima edizione del Festival del Pane di Prato. L'evento, organizzato dall'Assessorato alle Attività Produttive del Comune di Prato in collaborazione con le associazioni di categoria per valorizzare le eccellenze gastronomiche del territorio di cui la Bozza Pratese rappresenta un fiore all'occhiello, ha infatti dimostrato profonda sensibilità a questo problema che interessa un numero sempre crescente di persone – l'Associazione Italiana Celiachia stima in oltre 135.000 le diagnosi ufficiali, in crescita ogni anno del 10% - dedicando alle intolleranze al glutine un intero convegno, tenutosi in apertura di Festival sabato mattina nel Salone Consiliare di Palazzo Comunale.
A introdurre i lavori moderati dal giornalista Carlo Cambi, docente di Comunicazione all'Università di Macerata e volto noto della trasmissione La Prova del Cuoco di Rai Uno, è stato l'Assessore alla Salute e alle Politiche Sociali del Comune di Prato Dante Mondanelli il quale ha ribadito l'impegno dell'Amministrazione nel percorrere tutte le strade possibili per contribuire al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. Quello delle intolleranze al glutine è un fenomeno che interessa potenzialmente circa 600.000 soggetti su scala nazionale (dati contenuti nella Relazione Annuale al Parlamento sulla celiachia anno 2011) e solo in Toscana (una delle regioni con i valori più alti) circa 37.500 soggetti (circa 1 ogni 100) di cui 10.753 con diagnosi ufficiale.
Il suo sviluppo deriva dalla combinazione di una predisposizione genetica con determinate condizioni ambientali scatenanti: gli studi stimano che circa il 25% della popolazione sia predisposta e questo dato unitamente all'incremento di diagnosi negli ultimi anni ha senz'altro contribuito a considerare la celiachia non più come malattia rara, ma come vera e propria malattia sociale riconosciuta anche dalla legge – la 123 del 2005. Negli ultimi dieci anni per garantire una socialità normale anche ai soggetti intolleranti al glutine, sono cresciuti esponenzialmente gli esercizi gluten free – bar, ristoranti, pizzerie, hotel – e anche le attività formative in tal senso per esercenti, alimentaristi e addirittura per gli insegnanti, che hanno un ruolo di primaria importanza nello sviluppo della socialità di soggetti celiaci in età scolare.
Tutte queste attività contribuiscono alla diffusione della cultura del gluten free e un ruolo determinante è svolto dall'Associazione Italiana Celiachia, composta da 20 associazioni regionali onlus per un totale di oltre 60.000 soci, tutti legati dal comune scopo di migliorare la vita ai celiaci e alle loro famiglie, facilitare la diagnosi e stimolare la ricerca scientifica. L'assunzione di glutine nei celiaci provoca un processo infiammatorio a livello di intestino tenue che con il tempo porta a un malassorbimento delle sostanze nutritive: secondo studi scientifici una soluzione al problema potrebbe essere la creazione di nuovi tipi di grano o la riscoperta di grani antichi.
Ad avallare questa ipotesi, i risultati di una ricerca condotta dal Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura CRA-QCE e presentati dalla ricercatrice Laura Gazza: “il glutine non è presente nella farina nel suo stato originale ma si sviluppa quando si aggiunge acqua alla farina e si impasta. E' un grande polimero naturale elastico ed estensibile, che consente all'impasto di trattenere il gas che si forma durante la fermentazione. Se confrontiamo i grani attuali con vecchie varietà di grano notiamo che questi ultimi hanno minor tenacità del glutine: i frumenti teneri coltivati nella prima metà del secolo scorso risultano infatti meno tossici dei frumenti attuali, che invece sono più reattivi per i pazienti celiaci.
Un esempio è il grano Monococco, che presenta un glutine molto poco strutturato”. Concetto ripreso anche dal professor Stefano Benedettelli, docente presso la Facoltà di Agraria dell'Università di Firenze che ha sottolineato come nella selezione per ottenere le varietà moderne con cui vengono prodotti pane e pasta, siano stati incrementati oltre ai valori produttivi, le caratteristiche tecnologiche delle farine, determinando un incremento dell’uso di farine raffinate e della lievitazione degli impasti (forza della farina).
“Questa velocizzazione nel produrre pane e pasta, può determinare una serie di inconvenienti a chi si alimenta con questi prodotti – ha spiegato Benedettelli – e confrontando le caratteristiche delle farine prodotte da frumenti di varietà antiche con quelle prodotte da varietà moderne si può osservare come le prime abbiano non solo un contenuto di glutine inferiore, ma anche un contenuto di metaboliti secondari molto più variabile rispetto alle moderne e un glutine più debole. Inoltre gli epitopi tossici in grado di scatenare la reazione immunitaria nei soggetti celiaci sono presenti in misura maggiore nelle frazioni proteiche del glutine delle nuove varietà rispetto a varietà antiche.
Anche la lievitazione è importante: per avere un pane più digeribile e con epitopi tossici ridotti essa dovrebbe avvenire utilizzando il lievito madre”. Al convegno sono intervenuti anche Isidoro Martino consigliere AIC, il dottor Giuseppe Vannucchi responsabile del Servizio Igiene Alimentazione e Nutrizione dell'ASL 4 di Prato, il farmacista Ottavio Carbone, il direttore del Consorzio Pane Toscano Roberto Pardini e la dottoressa Donatella Macchia, responsabile presidio di Rete Regionale per la M.
Celiaca AS Firenze, la quale ha sottolineato come “ogni diagnosi di celiachia debba necessariamente passare attraverso l'effettuazione di esami immunologici e come la modifica della dieta e dei comportamenti alimentari debba avvenire solo dopo aver individuato e accertato la malattia con analisi diagnostiche mirate”. A concludere l'incontro, il responsabile del settore valorizzazione dell’imprenditoria agricola della Regione Toscana Simone Tarducci il quale ha rilanciato sull'importanza del settore agricolo per la Regione Toscana e sulla valorizzazione di prodotti della filiera corta: “dal 2007 abbiamo lanciato un progetto sulle mense scolastiche, scegliendo di sostituire i pasti serviti ai bambini con prodotti esclusivamente toscani, spendendo il 10% in più ma con importanti ricadute sull'economia locale derivanti dal fatto che acquistando alla filiera corta si procura lavoro a chi opera sul territorio”.