Molto più di una convivenza. Tra l’Homo di Neanderthal e l’Homo sapiens – l’uomo moderno per intendersi - circa 40mila anni fa, nell’Italia settentrionale, potrebbe esserci stato un incontro e dunque un “meticciamento”. A sostenere questa tesi, che individua una nuova tappa nell’evoluzione umana, lo studio condotto da un team internazionale, del quale fanno parte David Caramelli e Martina Lari del dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, coautori di un articolo pubblicato nell’ultimo numero dalla prestigiosa rivista scientifica Plos One (“Possible Interbreeding in Late Italian Neanderthals? New Data from the Mezzena Jaw (Monti Lessini, Verona, Italy)” doi: 10.1371/journal.pone.0059781).
Nel gruppo di lavoro, nel quale gli studiosi fiorentini hanno sviluppato la ricerca sotto il profilo genetico, figurano Laura Longo, conservatore (fino al 2010) della Sezione di Preistoria del Museo di Storia Naturale di Verona e coordinatore del progetto di ricerca sui "Fossili umani veronesi", gli antropologi Silvana Condemi (direttore di ricerca al CNRS dell’Università di Marsiglia e coordinatrice della ricerca) e Aurélien Mounier (Università di Cambridge) e l’archeologo Paolo Giunti (Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria). Gli scienziati hanno concentrato la loro attenzione su un fossile neandertaliano rinvenuto sui Monti Lessini, a Mezzena, in Veneto.
Si tratta di una mandibola conservata nelle collezioni del Museo di Storia Naturale di Verona su cui sono stati riscontrati caratteri tipici solo dell’Homo sapiens. “Il mento non è più sfuggente come nei neanderthaliani classici – spiegano i ricercatori - ma mostra un accenno di protuberanza come negli uomini moderni e lascia supporre l’esistenza di una possibile specie ibrida”. A riprova di questa tesi c’è un altro elemento. In altre aree geografiche dell’Europa, dove gli ultimi neanderthaliani e i nuovi arrivati sapiens hanno convissuto, sono stati trovati neandertaliani con un inizio di mento osseo. Lo studio ha operato con un approccio multidisciplinare applicando metodi innovativi, tra i quali la morfometria geometrica (un insieme di tecniche che si propongono di analizzare le differenze tra le forme biologiche catturando la geometria complessiva, e non semplici misure, delle strutture biologiche) e lo studio del DNA antico. L’Università di Firenze si era già occupata in passato del fossile di Mezzena.
Uno studio comparato di questo reperto con un altro rinvenuto nella grotta spagnola di Cava del El Sidron (in Asturia) aveva fornito interessanti informazioni sulla variabilità genetica dei Neanderthal. Nella fattispecie i due individui avevano i capelli rossi e la pelle chiara.