Fare di Palazzo Strozzi il tempio della Apple? Trasferire il David al Louvre? Costruire un parco che colleghi la Stazione di Michelucci a Santa Maria Novella? Trasformare con l’aiuto di qualche archistar quel ‘quadrato chiuso a ogni bellezza” che è Piazza della Repubblica? Affidare a un giovane architetto (e non a un archistar) il progetto della facciata di San Lorenzo? Queste e altre provocazioni chiudono il racconto - pamphlet di Luca Doninelli su una delle città più amate nel mondo, proposte e suggerimenti per salvarla dalla sua ormai indiscutibile inerzia culturale, ‘culla’ non più produttrice di cultura.
Salviamo Firenze è edito da Bompiani (Collana Grandi PasSaggi, Pag. 124, € 12,00) con una postfazione di Andrea Simoncini. Luca Doninelli individua alcune grandi colpe di una città che col vedutismo da camera con vista improntato al gusto anglosassone e con la sua cronica povertà progettuale ha tradito, rimosso la sua radice profonda: quel Rinascimento rivoluzionario che Filippo Brunelleschi, pensando non ai potenti ma ai poveri e ai trovatelli, fece nascere nel 1419 nella Piazza SS.
Annunziata sotto le logge dello Spedale degli Innocenti. Questo che dovrebbe essere come il Muro del Pianto di Gerusalemme è invece oggi un luogo abbandonato, ben lontano dal triangolo d’oro Palazzo Pitti, Palazzo Strozzi, Piazza Duomo. Lo scopo del libro è duplice: da un lato si tratta di documentare il degrado della città e di proporre per il suo recupero un diverso modello nel rapporto pubblico-privato (o si apre ai privati, o la città sprofonderà nel guano dei piccioni); dall’altro è necessario minare alla radice l’ostinazione con cui la città cerca di conservare, mediante un simbolismo rigido e chiuso, il suo passato: ostinazione che è la principale responsabile del guano stesso.
Tuttavia, l'attrattiva del libro sta non solo nella prospettiva nuova di lettura di una città secolare, ma anche in quella passeggiata fatta per mano al nonno ‘ateo e comunista’ che gli racconta i luoghi d’oro della città: la Porta del Paradiso del Battistero, la Cupola del Duomo, la Deposizione o il Compianto di Donatello in San Lorenzo, la Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella, e gli affreschi di Ottone Rosai (prozio dell'autore) nella sala del ristorante della Stazione.
E proprio qui, nella ‘selva equatoriale fatta di mars e polo’ che seppellisce i due sbiaditi affreschi, affiora tutta la tristezza del presente: un luogo che potrebbe essere come il Grand Central Terminal di New York se non di più, affossa tra caramelle e cioccolatini uno dei suoi grandi artisti, testimoni di un irripetibile '900 che forse la città non si ricorda nemmeno di avere avuto. Luca Doninelli nasce a Leno (Bs) nel 1956 da papà bresciano e mamma fiorentina, nipote di un grande pittore.
Nel 1978 conosce Giovanni Testori, che gli fa scrivere il primo libro, Intorno a una lettera di Santa Caterina, nel 1981. Tra le sue opere narrative ricordiamo I due fratelli (1990), La revoca (1992), Le decorose memorie (1995), Talk show (1996), La nuova era (1999), Tornavamo dal mare (2004), La polvere di Allah (2006). Ha vinto, tra gli altri, un Premio Selezione Campiello, un Grinzane Cavour, un Supergrinzane, un Premio Napoli, un Premio Scanno (il suo preferito). Inoltre è stato finalista allo Strega. Alba Donati