di Brenda Nannelli Campi Bisenzio– Ci sono troppe luci, alla Fnac. Troppe luci, per uno abituato a stare nell’ombra, nei sottoscala, negli scantinati della scena pop. Uno che ama più la penombra dei riflettori. “Sembra di essere in cucina! Con queste luci si friggono le patatine…”, scherza. Strano incontro, tra una libreria supermoderna, super globalizzata, e un cantautore all’antica, tutto artigianale. Bobo Rondelli – riccioli incolti, occhi malincomici socchiusi, mani sospese sulla corde della chitarra – ha presentato ieri alla Fnac del centro commerciale “I Gigli” di Firenze il suo ultimo album “L'ora dell'Ormai” per Live Global, distribuzione Self.
Canzoni che “segnano il momento di rialzarsi quando ormai non c'è più niente da fare, quando è l'ora di ripartire dal fondo e andare avanti”. Accompagnato da un pianista, Bobo canta, racconta aneddoti, fa battute. La gente affolla la libreria, nessuno se ne va. Molti sono venuti per lui, col cd in mano; altri passavano, si sono fermati, e rimangono affascinati, incapaci di andarsene. E’ una chiacchierata con musica. Bobo spiega anche come nascono i suoi brani: “Per comporre una canzone serve portarsi sempre dietro il cellulare, per immortalare momenti, e un taccuino per scribacchiare.
A casa strimpellare la chitarra e andare in bagno fischiettando qualche motivo”. Nascono così i suoi cd. Ma prima ancora che esca l’album, le canzoni vivono. Sul palco. “Mi piace sperimentare nuove canzoni, proponendole direttamente sul palco al pubblico, per vedere la loro reazione vera. Il palco è il mio ring. Devi correre il rischio che qualcuno esprima il suo dissenso fischiando, o si addormenti." E' così Bobo, si diverte a prendersi gioco di se stesso. Si definisce un essere scimmiesco che compone solo canzonette.
Niente, rispetto alle voci di “oracoli” come Giorgio Caproni e Franco Loi, i poeti da lui omaggiati nell'album. "Il poeta è colui che riesce a volere bene alla gente più degli altri. Ecco cosa riusciva a fare Franco Loi." Continua Rondelli: "Loro sono vissuti nel dopoguerra: ma anche oggi siamo in un dopoguerra, un dopoguerra di crisi. E anche oggi c' è bisogno di persone come loro, che ci facciano vedere con gli occhi della loro esperienza. Spero che le mie canzonette possano essere un tramite per dare voce alle loro parole miracolose, troppo poco diffuse." Tra una domanda e l'altra, suona gli inediti “La giostra” e “Canto di un padre” anticipandoli con curiosi aneddoti: mescola livornese e una specie di inglese di sua invenzione.
E mentre parla, cita Dino Risi, Andrea Balestri – il “Pinocchio” di Comencini – Celentano e Marcello Mastroianni. “La canzone per me è una preghiera - sussurra Bobo con una mano sul petto, coprendo il tatuaggio di San Francesco - come 'Julia' di John Lennon. Una dolce preghiera per i miei 'sensi di colpite', che in qualche modo spero sia ascoltata da coloro a cui ho fatto, senza volerlo, del male”. “Queste canzoni sono una preghiera per i miei figli, anche se loro adesso non le ascoltano.
Mia figlia preferisce Tiziano Ferro”, scherza. “Voglio chiedere perdono a loro, voglio che questo sia un disco di scuse per aver distrutto la loro favola”. Allude alla sua separazione dalla moglie, alle sue nevrosi, a tutto quello che distrugge il sogno idilliaco di un bimbo. Annuncia poi “Sporco denaro”, un’altra delle canzoni nuove, con parole che strappano un amaro sorriso. “Ho cantato questa canzone insieme ad un gruppo di ragazzi con handicap che non sanno cosa siano i soldi. Vivono nel loro mondo, un bel mondo puro e innocente”.
E per finire una metafora su Pinocchio. “I miei figli si annoierebbero se leggessi loro il libro di Pinocchio prima di andare a dormire. Eppure io vedo nel burattino di legno l'uomo di oggi. Più è bugiardo e mascalzone, più le donne lo vogliono per sé. Ma quando arriva il momento di mettere su famiglia, cercano di farlo diventare un bambino normale. Eh no: Pinocchio si deve ribellare. Deve rimanere un bugiardo mascalzone, col naso ritto!”. E non si riferisce proprio al naso.